“Bisogna smetterla di parlare della normalità del male, qui
siamo di fronte al male della normalità” Aldo Grasso, 2017
La partita del "cuore": Male 3, Bene 1 (circa). Finisce senza storia il confronto televisivo di martedì scorso che ha visto contrapposte la squadra del Male
(Belve Crime su Rai Due) con oltre 1,6 milioni di telespettatori e 12,7 di share
e la squadra del Bene (Che ci faccio io qui, su RaiTre) con circa 700 mila
telespettatori e 4,1 di share.
Una squadra di “appassionati del crimine” come ha sostenuto
la sua allenatrice, la Fagnani contro l’altra invece tutta concentrata a raccontare
“… le fragilità più profonde dell'esistenza: la mente, il mistero della vita e
della morte, il bisogno di cura e di appartenenza. Uno sguardo intimo sul senso
autentico del vivere”.
Non c’è stata partita tra la storia processuale di Bossetti
e quella degli assassini della Uno Bianca contro la storie di una persona che
dedica la sua vita al recupero e alla tutela degli animali o quella di un
monaco che invece la dedica alla cura delle persone.
Lo sapevamo da tempo: il racconto, la visione, lo sguardo diretto
e frontale sulla scena del delitto, del crimine e della tragedia esercita un’attrazione
fatale e irresistibile e, dobbiamo ammettere, in grado di restituire appagamento
e soddisfazione. Non è necessario scomodare scienza e coscienza e tantomeno rispolveriamo
“Davanti al dolore degli altri” di Susan Sontag (“il sangue in prima pagina!!!”):
è sufficiente rivolgere lo sguardo non lontano da noi: il Colosseo. Segno iconico
della “civiltà dell’orrore” dove si pagava il biglietto (tesserae o nomismata)
per vedere giustiziare cristiani, condannati o gladiatori combattere fino alla morte. Se vogliamo
restare più vicino, è sufficiente poi osservare gli appassionati del “selfie
della tragedia” mentre fotografano un incidente in autostrada o una scena del
delitto.
Lo sapevamo da tempo pure che la Rai è stata “maestra” sulla
rappresentazione televisiva dello spettacolo dell’orrore, meglio ancora se in diretta.
Difficile dimenticare la sua pietra miliare: Alfredino Rampi e Vermicino, tragedia
avvenuta giusto in questi giorni di 44 anni addietro, tutto iniziava proprio il 10 giugno1981 e il 12 arrivò Pertini. Si racconta che ci fu molta "pressione" per mantenere aperta la diretta. “Era diventato un reality
show terrificante” disse Piero Badaloni, noto conduttore del Tg1. Non solo “reality”
ma anche “crime show”.
Due giorni di diretta Tv seguita da quasi 29 milioni di persone,
un “fatto mediatico” mai avvenuto prima che ha segnato e aperto tutto il nuovo Libro
della storia tragica raccontata dalla Tv. Si tratta di un altro capitolo
misterioso della storia della Tv italiana, della Rai in particolare, sul quale troppo
facilmente si stende un velo pietoso di imbarazzo e vergogna. Il “male”
ovvero il “crime” è diventato da molto tempo un genere televisivo di grande successo, sulle
reti pubbliche e ancora più su quelle private. Ricordate: ne abbiamo parlato recentemente citando "Il Quinto Potere" ovvero il lato oscuro della Tv, molto oscuro. A sua volta si è evidenziato
un genere subordinato: il processo mediatico che ormai, sembra che ci siano pochi
dubbi in proposito, ha preso il posto di quello delle aule di tribunale dove,
sia detto per dovere di cronaca, è verosimile supporre che le cose non vadano
gran che bene. Tra il 1991 e il 2023 si tratta di circa 31 mila persone vittime
di errori giudiziari e ingiusta detenzione, con una media di circa 1000 persone
l’anno. In questi giorni, in particolare, non c’è trasmissione, tg o gr , che
non parli dell’omicidio di Garlasco e tutto lascia prevedere che sarà così per
molto tempo ancora.
Allora, ancora una volta, poniamo la domanda: quanto il Servizio
Pubblico, la Rai, trova ragion d’essere nel seguire, cavalcare, diffondere e
sostenere questo “genere” televisivo? Per alcuni la risposta è facile e banale:
si tratta della “realtà” che, ci piaccia o meno, appartiene alla nostra vita
quotidiana e la televisione non fa altro che, semplicemente, riprenderla e
amplificarla, diffonderla e approfondirla. Poco di meno, molto di più. Un conto
però è riferire le notizie, altro conto è farne spettacolo. È un “bene” o un “male”???
Entriamo in un campo di riflessione e analisi molto
complesso, difficile da riassumere nel poco spazio di Bloggorai. Avvertiamo solo
un forte senso di avversità per queste scelte editoriali della Rai (ieri sera, si
faceva fatica a distinguere Chi l’ha visto su RaiTre con la Sciarelli e le Iene.
Tra i compiti, la “missione” del Servizio Pubblico, facciamo fatica a ritrovare
qualcosa che si avvicina alle indicazioni fornite dal Contratto di Servizio sui
Principi generali ed obiettivi (art.2.1).
Sul tema registriamo il solito, comune, banale, imbarazzato e
imbarazzante silenzio: forse alcuni lo considerano un “successo” più o meno come
Sanremo di “cuoricini cuoricini” ovvero l’altra faccia del “male”.
Bloggorai@gmail.com
ps: ovviamente, un "genere" del genere la Rai lo appalta in esterno, non ce la fa (o non vuole?) nemmeno a produrlo da sola
Nessun commento:
Posta un commento