Andiamo dritti al cuore del “messaggio” emerso ieri sera durante l’audizione dall’AD Fuortes in Vigilanza Rai. Lo scriviamo in lingua corrente, forse leggermente dialettale, ma come diceva Pirandello, è la lingua con la quale si esprime il sentimento più che la ragione: “L’ Azienda sta con le pezze al culo e non ha possibilità di tapparle se non ci date altri soldi”. La politica gli risponde “Aumentare il canone? Vi siete fatti una canna? Ve lo scordate. Recuperare i soldi destinati al Fondo per l’Editoria? Andate a chiederlo agli editori: vi aspetteranno con i forconi sotto casa. Tassare i device con i quali oggi si riceve la televisione (cellulari e tablet)? Forse avete un problema con il vostro medico di fiducia? Rivedere i tetti pubblicitari? Sveglia... ormai è troppo tardi... la disposizione 288 non può attendere”. Questa la sintesi di un confronto ai limiti del surreale. Perché surreale? Semplice: perché era tutto già noto, da mesi e da anni, a tutti. Nessuno escluso.
Andiamo con ordine. Fuortes si presenta con una raffica di slides (che goduria !!!) e snocciola dati noti da tempo, sempre a tutti. Inizia con il canone che definisce “incongruo, incerto e fluttuante” e, per la prima volta, fa riferimento alla famigerata disposizione del MISE del 2016 sugli apparati con i quali si possono ricevere i segnali televisivi e che, di conseguenza, obbligano al pagamento della tassa (tema sul quale, da tempo, abbiamo sollevato l’attenzione). Poi traccia un confronto con i canoni degli altri paesi europei ma non definisce il contesto entro il quale rispettivamente viene pagato (in che misura e in quale contesto normativo e di mercato). Poi affronta il versante pubblicità, dove prende atto che è dimezzata da anni come pure sono dimezzati gli “altri ricavi”. Poi arriva al dunque: “Le attuali risorse non sono coerenti con il perimetro dei compiti assegnati al Servizio Pubblico”. Già, anche questo già detto all’indomani dell’approvazione del Piano industriale ora scaduto: a suo tempo lo abbiamo definito una macchina con una ruota bucata e quella di scorta mancante.
Torniamo al surreale: “…la diffusione del
Covid 19 sta determinando una crisi globale senza precedenti; per quanto
riguarda Rai, ad oggi si sono registrati impatti particolarmente negativi sulle
risorse valutabili nell’ordine di circa 200 milioni di euro alla luce dei seguenti
principali fattori. Canone: trend negativo degli incassi dei canoni speciali in
funzione delle criticità delle imprese ricettive e commerciali. Pubblicità:
generalizzata e significativa riduzione degli investimenti pubblicitari a seguito
della contrazione economica e dei consumi. Il riferimento al TUSMAR, ormai in
dirittura di arrivo è stato poi oltre la fantascienza: troppo tardi, ormai i
giochi sugli affollamenti pubblicitari sono fatti, con buona, buonissima pace
di chi ne potrà godere (uno a caso: Mediaset). Altri ricavi: forte
ridimensionamento di alcune linee di business (es. theatrical)”... Nel
contesto sopra sinteticamente delineato, l’evoluzione inerziale delle
risultanze del quadriennio 2020-2023 evidenzia una situazione
economico-finanziaria tendenzialmente non sostenibile”. Chi l’ha detto? Fuortes
ieri in Vigilanza? Nooooo, potrà piacere o meno ma l’ha detto Salini, sempre
ispirato dall’allora CFO Pasciucco ora Capo staff, sempre alla Vigilanza, lo
scorso 28 ottobre con gli stesi numeri e le stesse tabelle ieri rimpannucciate
con la grafica accattivante, ma la sostanza è esattamente la stessa.
Successivamente, a dargli supporto,
arriva l’ex ministro Gualtieri sempre in Vigilanza l’11 novembre, che merita
rileggere e dice: “In sostanza, sembra emergere che, a fronte di un andamento economico
con risultati netti in perdita contenuta ma stabile negli ultimi due esercizi,
la struttura finanziaria evidenzi un peggioramento … non si può che valutare
con attenzione e preoccupazione il deterioramento della posizione finanziaria
della RAI, in quanto elemento critico per il necessario sviluppo dell’attività
e il buon funzionamento aziendale, anche in considerazione del ruolo centrale
che la RAI, come dicevo, ha ricoperto e ricopre nel panorama della produzione
culturale e dell’informazione nel nostro Paese.
Anche alla luce della situazione esposta fin qui, consentitemi qualche
valutazione di carattere più generale e strategico.
I problemi di conto economico della RAI
che vi ho rappresentato non riflettono solo una flessione congiunturale dei ricavi,
ma mettono a nudo degli squilibri
strutturali che richiedono risposte durature, non solo dal punto di vista delle
fonti di finanziamento, ma anche da quello di un’adeguata capacità di rilancio
dell’azienda e di una rivisitazione del suo piano industriale anche alla luce
degli scenari evolutivi connessi alla pandemia e alle trasformazioni e tendenze
del mercato radio-televisivo e delle comunicazioni, molto impattato dal
processo di digitalizzazione in atto… Occorre
ripensare la modalità di stare sul mercato da parte della RAI e la sua capacità
di valorizzare i prodotti editoriali non solo in termini di raccolta
pubblicitaria, com’è stato negli anni del trionfo della tv generalista a
fruizione sincronica. La valorizzazione dell’immenso patrimonio di contenuti
culturali di cui la RAI è depositaria, contenuti che deve continuare a produrre
in modo eccellente, può e deve essere una leva importante, così come la
capacità unica di rappresentare e dare voce all’enorme ricchezza della società
italiana.
Anche l’informazione andrà ripensata.
Oltre alla giusta esigenza di rappresentare in modo pluralistico tutte le
opinioni e i punti di vista, anche quelli più critici, della politica italiana,
occorre investire nella capacità di indagare e raccontare le grandi questioni del
mondo che ci cambia intorno”.
Che differenza c’è tra Fuortes e chi lo ha preceduto? Nessuna: non uno di loro ha mai avuto la voglia, la forza e il coraggio di andare oltre la gestione delle partite correnti, della spesa giornaliera, del mercatino delle opportunità, necessità e convenienze. Non uno di loro ha avuto la forza, la voglia e il coraggio di smarcarsi dal suo “azionista di riferimento” cioè il Governo e chiamare l’ All In sul futuro della RAI. Tutta la sua esposizione di ieri sera era ed è concentrata sul “pareggio di bilancio” un mantra dal quale lui ed i contabili di Viale Mazzini non riescono a liberarsi. A suo buon conto, però, è costretto ad ammettere che non è un obbligo e che, comunque, non ci sono margini di alcun tipo per pensare a sviluppo o investimenti in prodotti o tecnologie.
Aggiungiamo noi, non ci sono margini per pensare a
progetti, idee o programmi e, in questo aspetto, Fuortes si trova in buona
compagnia della politica che per un verso sembra sempre che cascano dall’albero
del pero, e dall’altro (furbetti) sempre pronti a riversare ad altri le proprie
responsabilità. Ieri l’AD non è riuscito a ribaltare il tavolo e dire: “Cara
Politica, ditemi cosa volete fare del Servizio Pubblico Radiotelevisivo
Italiano con le relative risorse ed io cercherò di attuarlo, datemi una rotta, un percorso, ed io cercherò di seguirlo”. Non è riuscito a
destreggiarsi tra le slides e le sottili e ambigue manovre dei partiti che se
guardano bene di toglierli le castagne dal fuoco. È caduto nell’imboscata del
Piano industriale e del Contratto di Servizio: sono scaduti ambedue e non se la
cava rinviando l’onere al Cda (“.. è di sua competenza…”) la soluzione perché,
è noto, che il Piano discende dal Contratto e non viceversa.
Ieri Fuortes ha dipinto la storia futura
di un disastro annunciato quanto lucidamente perseguito: ha dichiarato la fine
di un’era del Servizio Pubblico ineludibile e incontrastabile. Ha certamente
ragione nel sostenere che un’Azienda che non può investire, non può rinnovarsi,
non può crescere è destinata a sparire dal mercato, è destinata ad essere un
residuo, una scoria di un passato che mai più tornerà. Ha provato a formulare “modeste
proposte” (riconoscimento integrale risorse da canone, rimodulazione delle
fasce di affollamento pubblicitario, cancellazione della tassa di concessione
sul canone e ampliamento del perimetro di applicazione dal canone ad altri
device) talmente ”modeste” che non hanno alcuna speranza di essere prese lontanamente
in considerazione e lui avrebbe dovuto saperlo bene prima ancora di recarsi in Vigilanza. È qui ha evidenziato tutta
la sua fragilità di dialogo progettuale e politica: come pensare di fare proposte
che non hanno interlocutori, che non hanno il contesto entro il quale essere
inserite? Non ha avuto la forza, la voglia
e il coraggio di provare a dire “aumentate il canone in bolletta” per non rischiare di trovarsi più di
mezzo Governo sotto casa sua pronto a rigarli la macchina. E, seppure avesse
trovato qualcuno disposto a seguirlo su questa Mission impossible, rimane sempre
la stessa banale domanda: “Caro Fuortes, cosa ci fate con i soldi che vi diamo?
Come intendete spenderli?”. Da rivedere poi tutta la parte sulla contabilità
separata, da Barachini definita incerta e poco chiara. Gli è stato ricordato
dell’informazione: cosa intende fare degli oltre 1700 giornalisti di cui
dispone l’azienda e non è in grado di proporre un sito news adeguato alle richieste
e alle nuove dimensioni di mercato?
Con buona pace di quanti speravano e
credono in una ciambella di salvataggio lanciata verso la Rai che affionda prima da Draghi e poi da Fuortes, è verosimile
che si tratta di una di quelle di plastichetta gonfabile da 3 euro, dopo 20 minuti di galleggiamento poi, fatalmente, si affloscia. L’obiettivo del pareggio a fine anno potrà essere raggiunto ma è difficile
immaginare che si possa, si voglia fare di più.
Ci risparmiamo per carità di Patria altre
quisquilie emerse ieri sera: la prima tra tutte quella relativa a Fedez: ha
detto l’AD “Non abbiamo ritirato la querela per il semplice fatto che non l’abbiamo
mai presentata”. È perché non è stata presentata? Chi ha deciso e con quali
motivazioni? Non è dato sapere. Un capolavoro di rara maestria di relazione
istituzionale e politica.
bloggorai@gmail.com
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