Per quanti sono interessati alla cronaca quotidiana, in
vista del Cda di domani, la sola notizia è che potrebbe essere nominato il
nuovo DG di Tele San Marino, partecipata dalla Rai al 50%. Fondamentale!
Per altri, per quanti si occupano di comunicazione, vi proponiamo
il tema del silenzio. Il silenzio può essere un problema, una difficoltà, un
inciampo, un ostacolo. Oppure, viceversa, una grande opportunità, uno strumento di lavoro oppure ancora una scelta di vita, un paradigma esistenziale. Il silenzio nella
comunicazione potrebbe somigliare allo 0 nell’aritmetica, cosiddetto il numero fondamentale
ovvero un concetto primitivo. Nella cultura occidentale lo 0 arriva in ritardo,
nel XII secolo con Fibonacci che raccoglie e ripropone quanto in India già era
noto dal V secolo a.C. per poi diffondersi nel mondo arabo. I grandi matematici
ellenici, come pure i latini, non avevano in mente il concetto di zero quanto
più una vaga idea di “assenza di numero”, di vuoto algebrico (l’insieme vuoto definito
dall’equazione 1 = 0 e tutto lo spazio definito dall’equazione 0 = 0 sono
insiemi algebrici). Interessante osservare come sia stato risolto il problema
della rappresentazione visiva, grafica, dello 0. A ben pensare deve esser stato
un dilemma molto complesso: provate ad immaginare di dover fare un disegno con
soggetto il “nulla” o “niente”. Da che parte iniziate? La soluzione più
semplice sarebbe presentare il foglio bianco.
Sul tema è disponibile una ricca letteratura, per chi fosse
incuriosito ci permettiamo di suggerire ai nostri lettori due testi: Robert
Kaplan, Zero, la storia di una cifra e Paolo Zellini, La matematica degli dei e
gli algoritmi degli uomini.
Dunque, apparentemente il silenzio non è rilevante quanto
sostanzialmente è fondamentale. Per quanto possa apparire paradossale, financo nella
musica il silenzio è una componente indispensabile: la sua unità di misura è la
durata e segna gli intervalli tra una nota ed un’altra (vedi le figure di suono e
di pausa). C’è chi lo adopera come terapia e chi invece lo applica come pratica mistica e non a caso interessa le grandi religioni monoteiste e politeiste
(vedi la sua pratica nei conventi di clausura come negli asharam dove può
succedere di incontrare persone con un cartello appeso al collo con sopra
scritto “Silenzio”). I carabinieri ne hanno fatto il loro motto “Usi obbedir
tacendo” e Bergman ne ha fatto uno dei suoi film migliori (pure se molto
criticato). Infine, il silenzio può costituire il “messaggio” che a sua volta
può essere contenuto e contenitore, in altre parole una specifica modalità di
comunicazione. I bambini rimproverati possono chiudersi in una bolla di
silenzio che può dire molto di più di una reazione strepitosa.
Il silenzio poi si può “ascoltare” o praticare sui due versanti:
per lo intende come strumento e per chi invece lo avverte come reazione o risposta.
Può succedere che, ad esempio nella comunicazione finanziaria, sia preferibile
lavorare più sul versante dove tenere occulte notizie “scomode” che non
sollecitare i giornalisti a pubblicare articoli favorevoli. Succede che leggere
la rassegna stampa e non trovare nulla che interessa direttamente la propria
azienda può rappresentare un sollievo “meglio cosi, meno se ne parla, meglio è”.
Dal versante opposto, per chi invece dedica il proprio tempo, professionale o artigianale
che sia, a cercare e scrivere vicende, fatti, avvenimenti, persone e
circostanze che messe tutte insieme altro non sono che “storia” quotidiana che
poi diventa “narrazione”, il silenzio è un dramma, un vuoto dinamico. Proprio come il vuoto, il silenzio può incutere
timore.
Ecco, a questo punto volevamo arrivare, come seguito del
post di ieri sera, al silenzio come strategia di comunicazione. Citiamo ancora
Stefano Rolando quando ha scritto di mutazione del paradigma nella comunicazione
istituzionale come segno distintivo del governo Draghi e, forse, del nuovo AD
di Viale Mazzini. Poniamo due riflessioni: la prima di carattere generale: comunicare
poco costituisce esercizio virtuoso, è utile alla comprensione della “cosa pubblica”?
I cittadini hanno diritto di sapere e conoscere “tutto” compreso quando sembra
non esserci “niente”? La seconda riflessione è di carattere più specifico: per
la più grande azienda di comunicazione del Paese, potrebbe non essere
sufficiente “comunicare” solo attraverso il suo prodotto, televisivo o
radiofonico. Potrebbe essere necessario, doveroso, in virtù di un “contratto”
esistente tra Azienda e utenti del Servizio Pubblico “comunicare” qualcosa di migliore,
di più. Al momento, apparentemente, siamo allo 0 che, come abbiamo appena accennato,
non è neutro.
bloggorai@gmail.com
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