Anzitutto difficile sostenere che “la metà degli italiani ha visto Sanremo” (Sole 24 Ore) e tantomeno che “Sanremo ha riunito l’Italia” (La Stampa). La prima frase somiglia chi, alle elezioni europee del 2014 disse che “la metà degli italiani sono con me” salvo poi dover rettificare e dire che si tratta del 40% dei poco più del 50% di chi ha votato. Il Festival (leggiamo stamattina su Italia Oggi a firma di Claudio Pezzotta) “ha chiuso a quota 10,1 milioni, un risultato tra i più bassi degli ultimi 16 anni”. I dati auditel di sabato 8 febbraio ci dicono: individui 58 mln, totale emittenti prime time di 25 mln (totale Rai 15 mln), seconda serata 17 mln (totale Rai 12 mln). Difficile sostenere che la “metà degli italiani etc “. E dunque il solo vanto consiste nello share e nei profitti netti, saliti a circa 20 mln. Del primo si può dire, semplificando, che è pura operazione di marketing e di alchimia tecnica e di orologio della scaletta (oltre che della scelta dei personaggi), mentre del secondo si può dire che in un clima di investimenti pubblicitari decrescenti, un appuntamento di tal genere che comunque raccoglie mediamente oltre 10 milioni di persone, giocoforza attrae forte attenzione da parte degli investitori. Farsi bello con le piume degli altri non è un buon esercizio.
Su questi paletti si può aprire il dibattito che da questi
giorni interessa molti nostri lettori: cosa è e come di dovrebbe misurare la “coesione
sociale” che il Servizio Pubblico è obbligata a sostenere. Non è una facoltà
opinabile o a discrezione di tizio o caio, è un vincolo di legge, un dovere
costituzionale. Proponiamo un passo avanti. Secondo coloro che sostengono le
tesi “numerologiche” e quindi elaborano complessi meccanismi di rilevazione dell’indice,
il fatto stesso che un determinato numero distribuito equamente in tutti i
comparti della popolazione televisiva in un determinato arco di tempo, contribuisce ad evidenziare “coesione sociale”.
Leggiamo e semplifichiamo in questa tesi:
quante più persone sono “connesse” di fronte alla televisione tanto più sono “accumunate”
da valori condivisi. Quali poi siano questi “valori” e come essi siano esattamente
corrispondenti a quelli realmente diffusi, percepiti e condivisi nel Paese, non
è dato sapere. Come pure, non è dato sapere quali sono gli strumenti attraverso
i quali vengono rilevati e pesati. Tanto per entrare in un ambito dove la “coesione”
appare poco efficiente: la politica e, non a caso proprio la Rai è sotto “processo”
da parte AgCom proprio per non agevolare la “coesione politica” attraverso l’uso
distorto dell’informazione politica. Un
interessante articolo pubblicato nello scorso novembre a firma Angelo Zaccone
Teodosi su Key4biz, affrontava esattamente il modo “in sordina” con il quale
la Rai gestisce questo tema e si riportava in allegato un documento ufficiale
con qualche nota interessante elaborato dall’Osservatorio di Pavia. Si legge
nel documento almeno un punto fermo: “Coesione Sociale intesa come condizione
che contraddistingue le collettività nazionali caratterizzate dal
riconoscimento di una comune identità storica e culturale, da comuni valori e
interessi, dal senso di appartenenza a una stessa comunità, dalla presenza di
una rete attiva di relazioni sociali e di mezzi di comunicazione che facilitino
la partecipazione di tutti alla vita civile, sociale, politica e culturale”.
Ora, l’esercizio che proponiamo ai nostri lettori è porre su una da un lato questo
concetto e dall’altro Sanremo per poi trarne delle indicazioni.
Infine, per rimanere nella zona nobile, segnaliamo la
lettura di un articolo sul Foglio di oggi “La lotta per l'audience nell'era
della polarizzazione” firmato da Ezra Klein. Riprendiamo una frase importante: “"Non
si può capire l'informazione senza capire le forze finanziarie e di audience
che la regolano, e che sono cambiate drasticamente" … “La polarizzazione
politica è uno dei mali più lamentati e discussi dell'epoca contemporanea. I
messaggi politici sottolineano ed esasperano ciò che separa le persone, mentre
tendono a nascondere ciò che unisce, nella convinzione che la tensione, il
contrasto permanente, sia la strategia più efficace per la mobilitazione e
gestione del consenso. L'ecosistema che abitiamo è fatto di tribù, bolle,
insiemi chiusi, identità contrapposte, fazioni che ascoltano solo ciò che
vogliono sentire e leader che offrono solo ciò che conforta il proprio uditorio
ben profilato”.
Ora scendiamo nella bassa cucina. I nostri lettori (quelli
interni a Viale Mazzini), spero potranno comprendere il velo di silenzio imbarazzante
che abbiamo steso sulle vicende che interessano i trenini viaggianti nella
riviera ligure. Come pure le polemiche sulla gestione della comunicazione (vedi
pure i nomi dei vincitori usciti prima della comunicazione ufficiale). Lasciamo
perdere anche se … un dettaglio però merita attenzione: la storia del ricorso
della direttora di RaiUno, Teresa De Santis, che richiede giustizia a fronte di
un presunto illecito avvenuto con la sua rimozione dalla rete pochi giorni
prima dell’inizio del “suo”festival. A
ben vedere, il perché di tale rimozione non è mai stato sufficientemente
chiarito: la sola crisi degli ascolti non era addebitabile solo a lei. Rimane il
problema che abbiamo sollevato tante volte: promozioni e rimozioni non sembrano
seguire logiche trasparenti. Questo è il problema che ha riguardato lei e
riguarderà le prossime nomine.
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