Nel fumo di Sanremo e degli effetti ansiolitici e ipnotici
che la materia utilizzata è in grado di produrre, proviamo a tenere la barra su
qualche ragionamento che si dovrà pur fare.
Gli argomenti che proponiamo sono due: il canone Rai e la
comunicazione del Servizio Pubblico.
“La Bbc deve restare generalista e non deve inseguire il
modello ultra commerciale dei suoi concorrenti, ma l’attuale meccanismo di
finanziamento è datato ed è in grado di garantire la sua continuità agli
attuali livelli soltanto per un breve arco di termine”. Queste le parole pronunciate
nei giorni scorsi da Nicky Morgan, Ministro della cultura del Governo
conservatore inglese. Provate voi a sostituire BBC con Rai e indovinate l’effetto
che fa! Provate pure ad immaginare uno scenario dove questo potrebbe anche
accadere: un futuro governo a trazione leghista (e non solo) dove i nemici (e i
quasi amici) del Servizio Pubblico non vedono l’ora di mettere le mani sulla “tassa
più odiata dagli italiani” e farne il cavallo d Troia per il suo depotenziamento.
Lo abbiamo scritto tante volte, da tempo e da diverse direzioni arrivano scaramucce,
provocazioni “intellettuali”, tentativi di sortita che puntano tutte nella
medesima direzione: minare il futuro della Rai nel contesto di un mercato che sarà
prossimo ad essere profondamente rivoluzionato.
All’orizzonte, è sempre bene ricordarlo ci sono appuntamenti
cruciali per la sua esistenza. Anzitutto la prossima nomina (forse, chissà,
probabile…) del nuovo Consiglio AgCom che sarà chiamato ad arbitrare una
partita che potrebbe pure iniziare (anche questa chissà, forse, magari) ed è
quella di un nuovo riassetto di tutto il perimetro delle TLC, che il Governo in
carica si è impegnato ad affrontare. Il contesto normativo in cui opera il
Servizio Pubblico è più che superato: dalla Legge Gasparri e da qualche
successivo aggiustamento con la Legge Romani fino alla Legge del 2015 ci troviamo
in un guado dove all’orizzonte si profila una devastazione possibile con l’introduzione
delle normative europee (DVB-T2) la cui prima vittima potrebbe essere proprio
il Servizio Pubblico. Gli esperti di psicologia la potrebbero definire una “distonia
percettiva” che, tradotta in poche parole, può anche significare un pressoché totale
ignoranza del problema financo una disattenzione di obbligo da Contratto di
Servizio. Questo, infatti all’art. 17, dispone che: “La Rai garantisce
l'informazione al pubblico in ciascuna area tecnica nel corso dell’attuazione della
tabella di marcia nazionale per la liberazione della banda 700MHz, utilizzando
le emissioni televisive e radiofoniche e il web. Tale informazione dovrà essere
fornita senza interruzioni fino a quando le attività non saranno ultimate in
tutto il territorio nazionale”. Finora, le sole comunicazioni al pubblico le
fatte il MISE con spot indirizzato a coloro che potevano usufruire del bonus di
50 euro per l’acquisto di un nuovo Tvset o di un decoder. Nulla di più. Anche questo,
indirettamente, indebolisce le prospettive di sviluppo del Servizio Pubblico.
Per quanto riguarda la comunicazione. Il Festival della canzone è in pieno svolgimento e, al
momento, i soli fatti certi riguardano l’elevato numero di telespettatori inchiodati
di fronte allo schermo e le varie polemiche che lo stanno accompagnando. Sul primo
aspetto, la macchina della comunicazione (interna ed esterna alla Rai) sembra funzionare
bene in una sola direzione: tenere sotto controllo il flusso delle notizie e cercare
di canalizzarlo tutto nel prodotto, nel concorso, nelle canzoni, nei personaggi.
Buona parte della stampa gongola di articoli dove nel migliore di casi, si
solleva il ciglio nel notare (come ieri sera) che è stato utilizzato sul
palco un microfono rosso. Da questo
punto di vista non c’è una piega: tutto sotto controllo. Altro discorso invece
è la “narrazione” (tanto di moda) di questo evento certamente sociale e dunque
politico sul quale invece la scarsità di analisi sembra alquanto evidente. Eppure,
proprio il combinato disposto di numeri e contenuti espressi non solo nei testi
delle canzoni ma anche nelle modalità di fruizione di Sanremo stesso, potrebbe fornire
una mole di materiale di grande rilevanza. Ad esempio, nei prossimi giorni
sapremo dal comunicato Auditel Standard digitale settimanale quanto RaiPlay
intercetta il cosiddetto “pubblico mobile”, cioè quanti seguono il Festival in
mobilità attraverso i tablet o cellulari e sarà interessante capire se è la Rai
che è avanti ai processi di alfabetizzazione informatica o li insegue. Di tutto
questo e di tutto quanto riguarda la contingenza entro la quale Sanremo si
svolge, non si legge nulla e la Rai non “comunica” nulla. Tanto per capirci e
per semplificare con un esempio: perché non sollevare un dibattito televisivo
sui contenuti dei testi dei rapper? Perché non “comunicare” al proprio pubblico
non solo i “ricordi dei bei tempi andati” con la proposizione di personaggi e
storie del passato ma anche i temi e i problemi del futuro dietro l’angolo?
Sembra di assistere ad un momento in cui anche la
comunicazione pubblica sia stata “anestetizzata” in attesa di un risveglio che
non si sa bene chi e quando si potrà fare. Forse potrà essere la politica, non appena
tutti tornano da Sanremo e ci si sveglierà dall’ubriacatura dei numeri di ascolti
e di pubblicità.
Domani ci occuperemo di radio con nuovi dati dell'indagine TER.
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