Il sonno della ragione genera mostri. Il primo farmaco ansiogeno
ed eccitante allo stesso tempo diffuso in larga misura in queste ore sono i
notiziari televisivi. Lo abbiamo scritto ieri: la quantità e la qualità delle informazioni
fornite attraverso i telegiornali sembrano essere fuori controllo. Stiamo assistendo
ad un dilagare bulimico di immagini, commenti, interviste che rischiano
seriamente di produrre più danni di quanti già non ne produce il Coronavirus. Paura,
panico, allarme sono tra le parole più utilizzate i queste ore e assalti ai
supermercati, posti di blocco con i lampeggianti delle forze dell’ordine
insieme a personale medico in tute protettive, simili a marziani inondano gli
schermi. Il timbro narrativo è standard: in testa ai servizi il bollettino di
guerra con morti e feriti, a seguire il
parere di qualche esperto virologo (solitamente poco rassicurante), poi un
collegamento con le “istituzioni” e, infine, qualche buona notizia. Di contesto,
di storia delle recenti epidemie e di come sono state gestite o di rilievo ad altre posizioni (vedi quanti pure autorevoli esperti
hanno minore spazio sullo schermo) se ne parla poco. Vedi, ad esempio, quanto dichiarato da Vincenzo D'Anna, Presidente dell'Ordine nazionale dei Biologi: "Bisognerebbe parlare alla gente in maniera meno catastrofica e più pacatamente. Il panico è peggiore della malattia...E' tutto fermo, tutto paralizzato, per un virus che è poco più di un virus influenzale. Un virus che ha una mortalità che se vogliamo è ancora più bassa di un virus influenzale". Il risultato è che stiamo velocemente
precipitando verso una parallela crisi di comunicazione, di percezione, di contestualizzazione
di quanto avviene.
La Rai ha dispiegato tutti i suoi mezzi e in tutte le reti
tv e radio c’è costante attenzione e aggiornamenti sugli eventi. Da un punto di
vista quantitativo la copertura giornalistica è completa. Quello che appare
meno evidente è l’attenzione alle modalità, al “tono” generale cioè esattamente
al complesso sistema di “codici e sottocodici che intervengono a definire un
messaggio televisivo” (U.Eco). In particolare ci si riferisce ai tre codici fondamentali:
quello iconico (le immagini) quello linguistico e quello sonoro. E’ proprio in
tale contesto che si innesta la deriva incontrollata della “generazione dei mostri”
come appunto i comportamenti collettivi irrazionali, la false notizie e il
conseguente panico diffuso. Esattamente in questo senso il Servizio Pubblico
radiotelevisivo deve trovare uno scarto in più, una differenza qualitativa marcata
rispetto al resto del sistema mediatico.
Proponiamo con particolare attenzione di rivedere il
servizio di Report di Milena Gabanelli del 7 maggio 2006 (questo il link https://www.raiplay.it/video/2009/01/In-principio-fu-loca-f5baf7a0-9764-408b-897f-14147c8b787e.html
). E’ sorprendente ritrovare molte connessioni con quanto sta avvenendo in questi
giorni e altrettanto sorprendente dover constatare che quella esperienza non ha
insegnato pressoché nulla sul fronte del sistema mediatico. Se poi, sempre in ambito Rai, volete
distendere la tensione, vi proponiamo di rivedere una puntata di Che tempo che
fa del 2008 con il mitico Ministro della Paura proposto da Antonio Albanese. Sono trascorsi 12 anni ma è
ancora di grande attualità. Questo il link: https://www.youtube.com/watch?v=9k-s3SAlSMM&t=40s
.
Evidente come, in questo momento, parlare di Azienda Rai, di
budget, di ascolti, di Piano Industriale, di nomine sembra fuori luogo. Eppure,
anche questo potrebbe essere uno stimolo a rimanere ”normali” e non farsi
prendere da nervosismi ingiustificati come, ad esempio, quello che ieri si è
diffuso a Viale Mazzini quando è stata richiesta a chi entrava nel palazzo una “dichiarazione
di provenienza” cioè non essere stati nei luoghi di contagio nei giorni
precedenti.
Infine, una nota sulla questione AgCom. Oggi leggiamo un’intervista
di Roberto Zaccaria, autorevolissimo
esperto e docente, sul Fatto Quotidiano: “ …l’Autorità … ha il compito di
vigilare sull'applicazione del contratto di servizio da parte della tv
pubblica, ma deve guardare al quadro generale, al sistema nel suo complesso,
restando il più possibile su dati oggettivi. … Ma non è suo compito sindacare
con giudizi discrezionali e non oggettivi nel contenuto editoriale delle
trasmissioni … ha colpito che si è voluto sindacare sulla rappresentanza femminile a
Sanremo. Ma stiamo scherzando?”. Sorprendente che si sollevi esattamente quanto
sembra aver fatto AgCom, cioè guardare al quadro generale che, evidentemente è
composto da tanti particolari, forse non la loro somma ma certamente la loro composizione.
Scherzare sul tema Sanremo? No, c’è poco da scherzare: se la trasmissione, tra
quelle di maggiore impatto mediatico sul pubblico nazionale, nel suo complesso
rispetta o meno gli obblighi da Contratto di servizio l’AgCom, ha l’obbligo di
vigilare e intervenire. Non è una facoltà o una discrezionalità. Almeno, fino a
prova contraria. Che poi questo avvenga nell’attuale contingenza politica e istituzionale
è altro discorso e perché poi indirizzata particolarmente a “danno “ verso la
Rai è ancora più altro discorso.
bloggorai@gmail.com
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