martedì 12 novembre 2019

Le apparenze ingannano


“Sperammo invano che la televisione in Italia non si avverasse mai” 
(Paolo Monelli, La Stampa, 1954). 

Speriamo noi ora di non dover pensare la stessa cosa con l’avvento della diffusione broadband al posto di quella broadcast. Ieri un nostro attento ed esperto lettore (molto) ci ha sollevato un dubbio. Provate a pensare al vostro cellulare, alle sue dimensioni e alle sue capacità, e provate ad immaginare che possa essere di grandi dimensioni, ad esempio 50”, e provate a chiamarlo ora invece di “cellulare” lo chiamate “smartTv” e provate ad immaginare che questo cellulare non ha un sintonizzatore video, ma riceve i contenuti audiovisivi in forma di dati dalla rete e non i segnali da una frequenza televisiva.

Il risultato è semplice: non è più un”apparecchio televisivo” come è stato puntualmente precisato con una nota del MISE nel 2016, qualora non sia presente un ”sintonizzatore” e quindi tutti i computer, tablet o smatphone non possono essere considerati “televisori”. A pensarci bene, non è una cosetta da poco almeno per un fattore: questi device non sono tenuti al pagamento del canone. Ed ecco che, ancora una volta, per la Rai si materializza uno spettro dalle potenzialità dirompenti laddove si attacca un cuore, già tanto in fibrillazione,  del suo funzionamento: le risorse economiche. Da un lato non sono pochi coloro che ne invocano la sua abolizione (un bel pezzo del Governo in carica) o almeno una sua riduzione (raccolta di firme Anzaldi) da altro lato si vorrebbe che il Sevizio Pubblico debba fare più cose di quante attualmente ne fa con risorse decrescenti (vedi calo della pubblicità che, al terzo trimestre 2019 per Rai vede un calo del 1,8% rispetto all’anno precedente). In poche parole, vogliamo essere apocalittici, sembra che si sta aprendo la strada per l’inferno per il Servizio Pubblico e, sembra pure che non pochi la stiano spianando.

Ci corre il dubbio che l’operazione “Rai come gli OTT” non sia proprio costellata di rose e di fiori come molti sono propensi a credere. Continuiamo a leggere di lodi entusiaste su Fiorello e RaiPlay che ci lasciano alquanto perplessi. Molti, compresi nostri autorevoli e stimati amici lettori di questo blog, snocciolano cifre che sembrano confortare la legittimità della scelta di “traghettare” telespettatori giovani e adulti verso il mondo broadband in sottrazione (non è pensabile in aggiunta se non immaginando che un telespettatore sia contemporaneamente con il telecomando in una mano e con l’altra il tablet) alla diffusione digitale tradizionale. Pochi, invece, sembrano preoccuparsi di cosa invece questo processo possa comportare per il prossimo futuro del Servizio Pubblico. 
Questa operazione, peraltro, comporta l'impiego di risorse economiche e non poche (ricordare la partnership tra Mediaset e Netflix per un valore complesdivo di 200 milioni)  che saranno inevitabilmente sottratte al budget delle reti. Abbiamo scritto nei giorni scorsi che la Rai ha deciso di emettere un bond di 300 milioni che non è destinato ad investimenti, innovazione o sviluppo, ma a sostenere e ripianare parzialmente un debito precedente. Tradotto in soldoni: il futuro costa e non poco. Pensare di sbarcare su Marte  con la fionda e gli elastici appare più comico che fantascientifico. Esattamente come avviene quando si sostiene che si è avviata la campagna di “alfabetizzazione tecnologica” degli italiani con l’attivazione di un call center che in un giorno di RaiPlay con Fiorello ha raccolto circa 600 telefonate. È un buon inizio … avanti tutta, nel giro di 50 anni ce la potremo fare!

Veniamo ad oggi, o meglio a ieri. Si è svolto il CdA e, tanto per cambiare, non è stato deciso nulla. Per chi avesse la memoria fragile, come il sottoscritto, facciamo un piccolo esercizio: nel giro dei 60 giorni precedenti si doveva almeno: A) affrontare la crisi degli ascolti B) avviare i due canali, inglese e istituzionale C) effettuare diverse nomine. Risultato: zero! Ieri in Cda, vista la giornata, pasticcini e the caldo: gruppi di lavoro sul Piano industriale e Don Matteo (costoso). In particolare, sul terzo punto, ancora una volta, gli articoli di oggi sono infarciti di beghe tra i partiti per la spartizione di posti in reti e testate con i soliti nomi “in quota” di questo o quel partito. Ca va sans dire, bisogna pure tenerne conto.
E poi ci sono ancora quanti pensano alla governance o alla trasformazione verticale.  
bloggorai@gmail.com

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