Nei giorni scorsi sono comparsi due scritti interessanti che
non hanno a che vedere direttamente con il Servizio Pubblico ma, in qualche
modo, vale la pena di tenere in considerazione per contestualizzare alcune
riflessioni.
La prima è firmata dal senatore Primo Di Nicola, M5S,
vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai e, già dal titolo, si propone di grande attualità: “E se ci sciogliessimo tutti?”
Riportiamo qualche passaggio: “La sconfitta del campo progressista, delle forze
dell’attuale maggioranza, non è solo elettorale: è politica, nel senso pieno
del termine – di politiche e programmi che non riscontrano più il favore dei
cittadini – ma è anche e soprattutto valoriale”. Prosegue “Il problema non è
più riconquistare i consensi perduti, provare a collezionare più seggi in
Parlamento, nelle Regioni e nei Comuni. Cosa che si deve pure fare per dare
agli elettori leggi e amministrazioni migliori. Il problema è ribaltare il
declino che sta cogliendo l’intera società nel più profondo del suo sentirsi,
che è coscienza morale, civile, modo di essere cittadini. Il problema è dare
soluzione a questa crisi valoriale, che non sarà questione di uno o due anni,
ma molto, molto più lunga e impegnativa” e conclude “Rispetto a tutto questo manca un PENSIERO. Ed è una carenza che
richiede una colossale mobilitazione, non solo politica, ma anche scientifica,
sociologica, filosofica, direi”. Questo “pensiero” per molti aspetti è lo stesso
che manca, appare del tutto assente o almeno opaco, sfumato, quanto ci si interroga
sugli anni a venire del Servizio Pubblico, su come dovrà essere nel prossimo futuro
nelle sue differenti declinazioni. Non è affatto chiaro quale potrà essere il
pensiero prevalente, il disegno strategico sul ruolo e la funzione sociale, culturale
e politica della Rai e su quali pilastri essa possa o debba poggiare: anzitutto
normativo, economico e poi tecnologico e infine editoriale.
La seconda riflessione la propone Achille Ochetto, ex segretario dell'allora PCI, sulle
colonne di Repubblica. Si interroga su dove
ha sbagliato la sinistra: “Nella subalternità al neoliberismo. È accaduto
che di fronte alla crisi del capitalismo, che ha prodotto enormi
disuguaglianze, invece che una risposta da sinistra ne è arrivata una da
destra: il populismo». Prosegue su cosa si potrebbe fare: “« … una grande
costituente delle idee. Trent' anni fa dovemmo fare i conti con il crollo del
comunismo, la nuova svolta deve fare i conti con la crisi delle sinistre.
Contro l' onda di destra occorre mobilitare tutta la democrazia militante. Ma
per fare questo tutti devono cambiare. Non gli statuti, che non interessano a
nessuno, ma l' anima». Infine, a proposito del progetto ideale «Una nuova
cultura politica. Oltre alla questione ambientale parlavamo già dell' esigenza
di democratizzare la globalizzazione, di una nuova governance del mondo, della
centralità dell' integrazione europea in rapporto con il socialismo democratico”.
Ecco un altro tema che ci riporta in ambiente Servizio Pubblico. Esattamente il
problema di un “progetto ideale” una visione appunto di cosa è e cosa dovrebbe
essere. Ma c’è un altro aspetto che ci sembra interessante sottolineare: è la
constatazione di avere sbagliato qualcosa che necessita di una sana e crediamo
sincera autocritica. Esattamente quella che, tuttora, manca a tanti esponenti
del PD e altri amici più o meno vicini. Mai sentito da alcuni di loro (i vari
Gentiloni etc etc etc insieme ai tanti che hanno avuto importanti incarichi di responsabilità
in Rai) una sana e sincera parola di valutazione critica su ciò che è stato
fatto e, più ancora, di ciò che NON è stato fatto per creare, sostenere,
diffondere, una cultura del Servizio Pubblico libera dai gioghi e dalla catene
dei partiti.
Stiamo entrando nella fase delle nomine? Proviamo a fare un
gioco: così come esattamente avvenuto per individuare il direttore del più
importante Museo nazionale, gli Uffizi di Firenze, perché non proporre un bando
di partecipazione europeo, aperto a tutti, nazionali e internazionali? Interni ed
esterni alla Rai. Vinca il migliore, il più capace, il più competente e
dannazione ad ognuno che si presenta in odore di vicinanza, familiarità,
simpatia o assegnazione “in quota” di qualsivoglia partito. Per quale dannato
motivo per dirigere un Ateneo o assumere un incarico universitario occorrono
attestazioni, pubblicazioni, esperienze documentatissime mentre per dirigere
una supermegadirezione intrattenimento Rai che impatta sulla cultura di milioni
di sarebbe sufficiente il “gradimento” di questo o di quel partito? Provate a
pensare: il prossimo direttore di Rai Uno … per dire … potrebbe essere il
direttore programmi della televisione pubblica australiana che, con i titoli
giusti possa accettare di venire a Roma e guadagnare i 240 mila euro l’anno
previsti dal tetto di legge. Oppure un dirigente di Netflix (magari!!!) Fantascienza?
Neanche tanto: se è avvenuto per gli Uffici perché non potrebbe avvenire per
RaiUno, Due, Tre, Quattro etc etc … si fa per dire ...
bloggorai@gmail.com
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