giovedì 10 ottobre 2019

Nel cuore della bufera



Ieri abbiamo scritto della presentazione del piano che la Rai si appresta a varare in vista dello switch off relativo del passaggio al DVB-T2. Abbiamo riportato uno stralcio del documento presentato dal CTO nel giugno dello scorso anno dove si legge che per sostenere tale impegno si prevedeva di spendere circa 200 milioni. Riceviamo e precisiamo volentieri: a seguito di quanto sostenuto nel documento e di quanto successivamente  svolto in sede istituzionale, nella finanziaria dello scorso anno sono state recepite indicazioni a favore del Servizio Pubblico che hanno ridotto a circa 100 milioni tale impegno per attivare i circa 100 nuovi impianti necessari a garantire la completa copertura del 100% del territorio. Ottimo: bella notizia che, immaginiamo, sia stata ampiamente condivisa con il CdA. Rimangono però gli interrogativi che abbiamo posto: ci sono queste risorse? Il Piano industriale recentemente approvato le prevede? Ecco quanto si legge:


Parliamo di 200 milioni per i tre anni di validità del Piano, inclusi gli adeguamenti immobiliari (lo smantellamento dell’amianto di Viale Mazzini, ad esempio?). Qualcosa non torna.
E poi queste spese chi dovrebbe sostenerle, Rai o Rai Way? Qualche malpensante ha già immaginato uno schemino conosciuto: Rai Paga e gli azionisti (privati) nonché i dirigenti  di Rai Way (il suo AD percepisce un compenso doppio, oltre 450 mila Euro, dell’AD di Viale Mazzini … tanto per capirci)  godono con i lauti dividendi che gli vengono riconosciuto grazie al Contratto di Servizio che gli garantisce da Rai oltre l’80% del fatturato.

Questo terreno però induce ad altre riflessioni correlate. La prima riguarda gli utenti dei quali nell’articolo di ieri Serafini ha parlato poco. Il complesso di queste operazioni, che si vorrebbe anticipare già a partire dal prossimo anno,  hanno un costo anche a valle: gli utenti, i telespettatori, saranno costretti a rottamare di gran carriera i vecchi televisori per adeguarsi ai nuovi standard di trasmissione e dovranno comprare un nuovo apparato, una smart Tv che li porta dritti dritti nelle braccia della concorrenza attraverso la porta di connessione alla rete. Di questo si parla: mentre Rai spinge e sostiene, in parte giustamente, verso il mondo broadcast, un’altra parte del mondo spinge e sostiene il broadband. Sembra di capire che la tendenza è più nell'investire nelle frequenze che non nella rete. Tutto qui. Dunque la platea, l’arena della competizione globale, vede l’operatore pubblico arrancare nel disperato mantenimento di una posizione che potrebbe non avere un grande futuro. Tra l’altro, investire nella rete non significa solo nella componente strutturale, ma anche nella componente contenuti che, di fatto, è la merce pregiata sulla quale si sviluppa il mercato. E qui torniamo ai dolori: da tempo si sente parlare (e il Piano industriale lo prevede) del rilancio e potenziamento della piattaforma Rai Play dove, al momento l’unico nuovo contenuto previsto è la striscia di Fiorello. Abbiamo scritto “previsto” e non certo perché, a quanto si legge, il relativo contratto non sembra sia stato ancora firmato. Del resto, andate a vedere lo spot con cui il comico annuncia il nuovo programma (per vostra comodità lo trovate quì):
“…per vedere Rai Play … bisogna … andare ..non proprio andare … bisogna vedere … ehhhmmm…non proprio vedere … ehhmmm”. Ma un povero telespettatore pensionato, dopo aver visto uno spot del genere, cosa deve fare? a chi si deve rivolgere?
last minute a questo proposito: da poco è comparso sul sito Dagospia un intervento del solito informatissimo Antonellis. Da non credere: questa operazione porterebbe la Rai a stracciare i competitor del settore digitale" e poi "Un’operazione, dunque, multipiattaforma che, se riuscirà, potrà mandare in pensione la vecchia Rai. Proprio alla vigilia della piena operatività del nuovo piano industriale." Ma chi gli suggerisce queste informazioni ??? da non credere !!!!

C’è altro da aggiungere? Si, molto: ad esempio che la Rai non sa comunicare se stessa. Che pure quando c’è qualcosa di buono da dire, diffondere, far conoscere, questo avviene poco o male. Prima, ad esempio, abbiamo scritto che qualcosa non torna sul Piano industriale come, ad esempio, per quanto leggiamo che la Maggioni lascerebbe RaiCom perché il canale in inglese non sarebbe più come lei (lei ???) lo immaginava. A parte i condizionali e il gossip aziendale, ma non sarebbe il caso che l’AD chiamasse giornalisti, studiosi, esperti per esporre i contenuti non a tutti del tutto chiari sul Piano Industriale e chiarisse, una volta per tutte, i punti controversi? Questa è comunicazione, questa è trasparenza, questo è coraggio che Salini vorrebbe dagli altri, forse meno da se stesso.
bloggorai@gmail.com



Nessun commento:

Posta un commento