La notizia del giorno è la “bollinatura” da parte del Mise
del Piano Industriale e il conseguente entusiasmo che trapela del VII ed altri piani di Viale Mazzini.
Nel merito, di come e di quanto possa incidere
positivamente per la salute, per il bene, del Servizio Pubblico ne abbiamo
parlato a lungo e ne parleremo ancora. Abbiamo scritto che questo piano appare
come un’automobile con le ruote bucate e lo sterzo fuori registro. Abbiamo
scritto pure che è figlio di una Legge sbagliata perché affida tutto il
controllo dell’Azienda al Governo.
Della firma del Piano si possono fare due semplici letture:
la prima è tutta “tecnica” (per quanto si possa sostenere che la “tecnica” si
neutra) e la seconda tutta politica.
Iniziamo dalla prima. Mettiamo in ordine: il Piano è un atto
dovuto e imposto dal Contratto di servizio che ne fissa gli orientamenti e
determina le linee guida. Il piano è rimasto fermo per molti mesi al Ministero
in attesa della verifica di “congruenza e conformità” appunto con quanto
espresso dal Contratto. Quindi, la convalida del Piano, in un certo senso, è un
atto dovuto salvo dover rilevare divergenze e difformità di grande rilievo da doverlo
rispedire al mittente. Certamente, per quanto siano rilevanti le osservazioni
che si possono fare, non è ragionevole sostenere che potevano sussistere i presupposti
per il completo rigetto. Mentre, al contrario, è ragionevole sostenere che
evidenzia una “architettura” di dubbia efficacia perché tutta indirizzata sulla
tecnicalità della ristrutturazione verticale ritenuta come unica soluzione per
affrontare il complesso sistema delle sfide tecnologiche, di prodotti e di
mercato mentre, al contrario, non pone nella dovuta rilevanza il tema della coesione sociale del Paese al quale il Servizio Pubblico ha l'obbligo di guardar in via prioritaria. In sintesi: tutto l’entusiasmo per questa firma appare, a dir poco,
leggermente esagerato e forse anche fuori luogo oltre che fuori tempo. Detto questo: complimenti all’artefice di questo
risultato che non era affatto scontato, per i motivi che ora vedremo per la
seconda parte, la lettura politica.
Mettiamo in ordine alcuni passaggi: l’8 agosto cade il
Governo Conte e, di li a poco, si forma una nuova maggioranza e, di li a poco,
una costola del PD, Renzi, si stacca e forma un nuovo partito. Come abbiamo scritto
in un post che ha avuto un larghissimo numero di contatti (il calendario della
crisi) in testa agli impegni del nuovo Governo ci sono le nomine nelle società
partecipate e, a seguire, nelle autorità di controllo e garanzia (Privacy,
AgCom e ANAC). Su questo terreno si giocano le grandi partite e, francamente,
quella di Viale Mazzini e del suo Piano industriale non è certo la più rilevante. Per restare
nel nostro campo, la partita AGCon diventa il cuore del problema. Chi sarà il
nuovo presidente destinato a succedere a Cardani? Girano tre nomi: Giacomelli,
Sassano e Zeno Zencovic. Il PD sostiene frontalmente il primo e, per giungere a
questo risultato, vanno giù con il lanciafiamme. La cronologia di questi giorni
ci porta alla notizia dell’incontro tra Zingaretti (segretario di partito e non
esponente di Governo) e Salini e, di lì a poco, il Piano è firmato. Da ricordare
che proprio tre giorni fa il solito Dagospia dava la notizia dell’accordo raggiunto
tra M5S e PD per i nomi AgCom e Privacy. Nel frattempo, si mette di mezzo il
prode Anzaldi, renziano di ferro, che minaccia tuoni e fulmini per bloccare il
Piano. Ma, appunto, Anzaldi è renziano di ferro, e notoriamente Zingaretti, pur
di tagliare l’erba sotto il prato della Leopolda manderebbe al pascolo pure le
giraffe e gli ippopotami. Se qualcuno avesse dato minimamente credito ad Anzaldi
avrebbe, in altre parole, lasciato in mano a IV una miccia innescata su tutte
le scelte del Governo che nessuno della triade Conte, Zingaretti e Di Maio, ha intenzione
di lasciare nelle mani del giovane toscano.
C’è però un filino di ragionamento
in più: Giacomelli non solo è toscano (ce ne faremo una ragione) ma appartiene
al DNA dei giovani leoni tipico dei vari mattei che sul servizio pubblico
hanno idee molto precise e dettagliate che non sembrano certo ispirate al buon
futuro della Rai. PUNTO. Pur non essendo noi di provata fede matematica siamo
indotti a pensare che 2+2 fa 4 e dunque fare i complimenti a Repubblica che ha
riportato la notizia dell’incontro Salini Zingaretti e scoperchiato ancora una
volta, se mai fosse ancora necessario, il coperchio del calderone puzzolente
del rapporto ambiguo, nefasto e deleterio tra politica e Rai e alla “gole
profonde” di Viale Mazzini che da diversi giorni avevano fatto diffondere la
notizia della prossima firma.
In ultimo, ci hanno fatto osservare, che dietro la velocità
con cui il ministro Patuanelli ha voluto dar una mano a Salini cela un altro
problemino: l’assegnazione della delega alle TLC che pure riveste un peso non
irrilevante nella ripartizione delle sfere di potere e influenza. Interessante.
Sintesi: c’è poco da stare allegri, se la logica è quella
del patto nefasto che sottende la firma del Piano cìè solo da accendere qualche
moccolotto per fare gli auguri alla Rai. Da notare: il Messaggero di oggi, a
firma Mario Ajello, riporta virgolettati anonimi di fonti Rai e usa termini e
verbi condizionali che non lasciano pensare a sonni tranquilli. Vedremo …vedremo
… i giochi non sono finiti ieri … anzi potrebbero solo essere l’inizio di un
nuovo girone dagli esiti del tutto incerti.
bloggorai@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento