Nei giorni scorsi la Commissione
Parlamentare di Vigilanza Rai ha approvato all’unanimità una risoluzione su “Princìpi
di indirizzo e linee guida sull'utilizzo dei social media da parte dei
dipendenti e collaboratori della RAI”. Da osservare che questa iniziativa era
stata frontalmente osteggiata sia dall’AD Salini sia dall’Usigrai che la riteneva una invasione
di campo in quanto andava a regolamentare un ambito di stretta competenza
aziendale. Evidentemente, i parlamentari non sono stati dello stesso avviso e,
tutti insieme, hanno ritenuto che invece il tema fosse di loro competenza. Cosa
sta a significare? Cosa non ha funzionato nei delicati meccanismi di mediazione
che solitamente intervengono in questi casi? Per saperne di più e leggere il
documento:
Da ricordare che in Vigilanza si
deve completare l’iter di audizioni per il definitivo via libera del Piano
industriale recentemente bollinato dal Mise. Il suo parere non ha un rilievo
specifico per la validazione però sarà difficile non tener conto delle osservazioni che potrebbero venire formulate. Inoltre, mentre per il piano Industriale non è
previsto un vincolo, lo è invece per quanto riguarda l’informazione (art.25,e):
“un piano di riorganizzazione che può prevedere anche la ridefinizione del
numero delle testate giornalistiche nonché la riprogettazione e il
rafforzamento dell’offerta informativa sul web;”. Di tutto questo,al momento,
non se ne parla. Anzi, non si parla proprio di nulla … Qualche giorno addietro,
un autorevole dirigente Rai ci confidava: “qui sembrano tutti remare contro
corrente”. Il riferimento era ai gruppi di lavoro che dovrebbero essere
attivati sotto il coordinamento del Trasformation Officer (!!!) dei quali si
fatica a sapere qualcosa.
Invece, sappiamo molto su un
aspetto importante che riteniamo essere la gomma bucata del Piano industriale:
le risorse economiche. Tanto per avere idea di quanto sia necessario per
affrontare i problemi del mercato è sufficiente leggere due articoli di Italia
Oggi di ieri e di questa mattina. Nel primo si leggono cifre interessanti: a fronte di investimenti
per miliadi di euro degli altri operatori (Sky Comcast, ad esempio, Rai per
circa 13 mila dipendenti sostiene un costo di stipendi per circa un miliardo di
euro mentre i costi operativi sono di circa 2 miliardi. Mediaset ha 3500
dipendenti che gli costano circa 400 milioni e costi operativi per meno di 2
miliardi. Nel secondo articolo si leggono invece le cifre dell’andamento della
raccolta pubblicitaria per gli otto mesi 2019: complessiva del settore media a -5,9% e specifico per la tv
a -6,4%.
Anche questa è una emergenza. Con
quali risorse il Servizio pubblico potrà affrontare la competizione e come
potrà sostenere gli impegni previsti dal Contratto di servizio e dal Piano
Industriale?
Per la cronaca: nei giorni scorsi
si è svolto un incontro promosso dal Centro Sperimentale di Cinematografia alla
Casa del Cinema sul tema “Netflix e oltre”. Si è svolto un dibattito di grande
interesse sulle caratteristiche, sulle dinamiche e sulle prospettive della diffusione
streaming dei film, sul ruolo degli OTT. Superfluo ricordare come il broadband
sia il campo di battaglia più arduo per
il futuro del Servizio pubblico, non solo nello specifico settore
cinematografico. Sufficiente pensare
alle produzioni seriali come pure di specifici prodotti cinematografici
destinati sia al grande schermo sia alla diffusione in streaming. Si tratta di “merce”
costosa, che richiede capitali rilevanti, cioè esattamente quello di cui Rai non
dispone. Ma non solo di questo si tratta: in ballo ci sono crisi di idee, di
progetti, di linguaggi, di interlocuzione con un pubblico in rapido mutamento generazionale. Il segno di
questa distanza tra Rai e il resto del mondo? Per la cronaca: a questo
appuntamento non c’era nessuno di Rai.
bloggorai@gmail.com
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