La politica “abusa di potere” quando ingerisce nella
gestione del Servizio Pubblico oppure è la Rai e i suoi organi dirigenti che
subiscono passivamente le intrusioni dei partiti? In questo momento (vedi post
di sabato) siamo indotti a ritenere che
sia buona la seconda.
La legge del 2015
assegna a questo AD e, in accordo con questo CdA, poteri più rilevanti rispetto
al passato e, per quanto riteniamo questa Legge nefasta per come tiene sotto
scacco l’autonomia dell’Azienda rispetto al Governo, non c’è ombra di dubbio
che all’AD in prima battuta sono in capo competenze e responsabilità tali per
cui se volesse dare visibili e tangibili segnali forti, autorevoli, di autonomia e indipendenza era ed è in grado di farlo
oggi, subito, domani. Non sembra averlo fatto prima in occasione delle prime nomine e
non sembra averlo fatto ora, come non sembra essere intervenuto in modo determinante sui grandi
problemi che interessano la Rai. Senza andare troppo lontano senza nemmeno ricordare la notizia mai
smentita dell’incontro con il segretario del PD alla vigilia della bollinatura del
Piano Industriale, citiamo solo un piccolo esempio, piccolo piccolo, di come i
problemi non si affrontano direttamente: a ottobre si è svolto un Cda dove era
all’ordine del giorno la crisi degli ascolti. Leggiamo dal comunicato stampa
successivo: “… sarà oggetto di costante
monitoraggio e attenzione da parte dell’Amministratore delegato per le
opportune valutazioni…” Siamo ancora in
attesa …
Sabato scorso il Sole 24 Ore, ha pubblicato un articolo a
firma Gianni Dragoni, dove leggiamo “Balzo del fatturato della società che
realizza «Che tempo che fa». Ricavi quasi triplicati da 3,83 milioni a 11,05
milioni di euro nel 2018 per L'Officina Srl, la società costituita da Fabio
Fazio (socio al 50%) insieme a Magnolia Spa (detentrice dell'altro 50%) per
realizzare il programma tv «Che tempo che fa». I ricavi derivano solo
dall'appalto con la Rai per realizzare 64 puntate all'anno. Oltre ai soldi
versati alla Officina, la Rai riconosce direttamente a Fazio un compenso di
2,24 milioni lordi l'anno”. Per tenerci aggiornati con la memoria, ricordiamo l’articolo del
27 ottobre sul Corriere dove abbiamo letto che buona parte del day time di
RaiUno è in mano ad una sola società di produzione esterna e se poi ricordiamo …
ancora una volta … a caso … che esiste una redazione giornalistica con oltre
180 persone che realizza un notiziario che nel 2018 ha avuto uno share medio
dello 0,6% e che nei giorni scorsi questa testata, secondo Audiweb, si colloca
al 32° posto dei siti di informazione
quando TgCom è al 5° posto (ripreso da Prima OnLine) e così via, torniamo a bomba e prepotentemente sull’argomento
all’ordine del giorno: il canone.
Ormai non passa momento in cui autorevoli e quotatissimi
dirigenti Rai, studiosi, esperti di varia
natura e provenienza, spendono molte
energie per ricordarci che il canone Rai è tra i più bassi in Europa, che è
stato ridotto e che pure sulla riduzione spesso e volentieri avviene uno scippo da
parte dello Stato che ne utilizza una parte per destinazioni improprie. Pochi invece, si avventurano sul
difficilissimo compito di dare al canone un senso sociale, un fondamento etico
e culturale come pure tecnologico che lo giustifichi, non tanto e non solo per
quanto la Rai oggi oggettivamente svolge in termini di prodotto complessivo che
rivolge ai cittadini tutti, compresi quelli che non lo pagano, quanto più per la
dimensione prossima futura che dovrà assumere in un contesto di cambiamento che
la vedrà in grandi difficoltà. Le argomentazioni da ragioneria generale sul
canone potrebbero non essere più sufficienti: la politica sembra averlo intuito
prima ancora dell’AD e del CdA. Il nemico è alle porte.
Nei giorni scorsi un autorevole dirigente nel mentre si
commentava l’andamento dell’operazione Fiorello e dell’obiettivo di “alfabetizzare
gli italiani” sosteneva che, semmai, è vero il contrario: sono gli italiani che
alfabetizzano la Rai che ora è costretta a rincorrere con grande affanno per fronteggiare
la progressiva erosione di telespettatori giovani mentre si stabilizza un pubblico
tendenzialmente sempre più adulto (ricordiamo pag. 24 del Piano Industriale con
un titolo eloquente:” I device digitali nella mani dei più giovani, il telecomando
in quelle dei più anziani”). Che succederà quando il telecomando sarà sostituito
da un assistente vocale? Per cambiare canale alla 24a volta che si rivede il
Commissario Montalbano e i suo Ladri di Merendine che proprio quest’anno ha
celebrato i 20 anni dalla prima messa in onda, sarà sufficiente dire “Ehi
Google … cambia canale e passa a Netflix”.
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