“…ha lavorato in tutti i rami dell’Azienda, dal commerciale alle operation, da Roma a … misurandosi con tutti i livelli manageriali: si dice che tratti tutti allo stesso modo, dal dirigente alla centralista, che coinvolga tutti nei suoi gruppi di studio, che sia uno che sa fare squadra” letto lunedì mattina sul Repubblica A&F. Chi sarà mai costui? Provate ad indovinare. Per un attimo ho avuto le traveggole … poi sono tornato a quella calda mattina dello scorso agosto, il 9, le vacanze erano in pieno corso e con ritardo mi arriva tra le mani l’articolo di Giovanna Vitale di Repubblica con il titolo “Il futuro della tv pubblica: nella Rai di Fuortes molti tagli, via i partiti e obbligo del “lei”. Tutto è tornato chiaro. Ecco allora che i fili, lentamente e inesorabilmente, si legano tra loro e inizia la narrazione che, ancora una volta, l’AD ha definito “negativa” sulla reputazione della Rai.
Dopo aver letto i giornali di questa mattina su quanto avvenuto ieri durante l’audizione al Senato della Presidente Soldi e dell’AD Fuortes (curiosamente Repubblica e Corriere “bucano” la notizia mentre sono molto attenti alla partecipazione della Pausini a Sanremo), e aver fatto il solito giro delle Sette chiese per chiedere e confrontare commenti, proviamo ad azzardare qualche temeraria interpretazione. Non prima però di dover ammettere di essere leggermente stordito e confuso da quanto ascoltato al Senato. Come al solito: confidiamo nella pazienza e benevolenza dei lettori se ci sfugge qualche passaggio o se sbagliamo qualcosa: parola di ex Boy Scout, faremo ammenda e saremo sempre pronti ad integrare/correggere eventuali errori e omissioni.
Perché il capo Azienda si è lamentato anche ieri del fatto che la Rai viene raccontata male? Posto che invece la Presidente ha detto invece che la Rai “… gli italiani sono, in Europa, tra i più convinti sostenitori del Servizio Pubblico”. Cosa c’è dunque che non funziona in quello che Fuortes denuncia? Posto poi che lui stesso ha formato la squadra dei “comunicatori” composta da Colantoni e Marroni ai quali sono stati “affiancati” i consulenti Caprara e Giannotti. Ovviamente, tutti agiscono in coordinamento con il Capo Staff Pasciucco che, a sua volta, si avvale delle consultazioni con i Direttori interessati alle diverse questioni. Ma tutto questo dice ancora poco. Dice molto invece sapere/capire cosa e come l’AD intende comunicare sul ruolo, sulla credibilità e autorevolezza della Rai: come al solito, anche la comunicazione necessita di un “progetto” esplicito o implicito. Lasciamo da parte per un momento il solito tema del “progetto editoriale” del quale comunque non ci sono tracce. Dunque, cosa ha inteso comunicare l’AD già dal suo arrivo? Quale nuova “mission” ha inteso proporre? Quale rappresentazione di se e dell’Azienda ha voluto/vuole fornire? Già dal titolo della Vitale il senso era chiarissimo, dopo appena pochi giorni dal suo insediamento la linea era tracciata: tagli dovunque possibile e pareggio di bilancio sopra ogni cosa. Se andate a rileggere i primi ritagli di giornale al suo arrivo ricorderete i nomignoli e le caricature che giravano: “…subito ribattezzato Napoleone, e la presidente Marinella Soldi detta la British” (Giovanna Predoni dixit) e non sembravano certo alludere ad un tono dialogante e empatico. Quel “diamoci del Lei” poi ha segnato uno spartiacque ancora non superato. Da allora in poi siamo arrivati ad annunciare tagli senza preventivi accordi con nessuno, come il taglio dell’edizione notturna della Tgr e allo scontro finale con l’Usigrai (ieri l’audizione in Vigilanza è stata rinviata) e alla rivendicazione di 800 mln di tagli finora avvenuti (dove, quando e come sono avvenuti?). Allora, riproponiamo la domanda formulata in altro modo: cosa è venuto a “comunicare” Fuortes sulla “sua” gestione dell’Azienda? Può essere utile ricordare i suoi precedenti al Teatro dell’Opera di Roma e al Petruzzelli di Bari: vedi La Repubblica del 3 marzo 2012 e Il fatto Quotidiano del 4 aprile 2017. Affiniamo ancora la domanda: quale è il suo mandato affidatogli dal Governo Draghi? Lunedì sera La7 ha mandato in onda il film di Stone sull’assassinio di Kennedy, ancora irrisolto dopo 60 anni, e ad un certo punto un misterioso Signor X dice a Garrison (che indagava sul caso) “...non chiederti solo chi è stato ma anche perché è avvenuto”. Già, allora la domanda corretta da porre in relazione alla “narrazione negativa” che Fuortes denuncia è perché avviene tutto questo e dove va a parare. Ecco allora che i fili si intrecciano e la “narrazione negativa” prende consistenza e chiarezza.
E ieri due tra questi sono emersi con particolare evidenza. Prima di Fuortes ha parlato la Presidente ed ha espresso una riflessione importante: “Per rendere Rai davvero in grado di essere al passo con i tempi e confrontarsi con competitor agili e veloci va anche risolto il nodo della sua personalità giuridica mista – come ho avuto modo di illustrare in Commissione di Vigilanza RAI il 23 novembre scorso. Società di diritto privato, la Rai riveste al contempo natura di organismo di diritto pubblico ai fini dell'applicazione del codice dei contratti pubblici. Un unicum giuridico che: ostacola il processo di cambiamento perché deve tener conto di un codice d'appalti riferito ad un contesto stabile, senza mutamenti, tutto il contrario del contesto in cui oggi operano i player multimediali; e allo stesso tempo, allo stato, impedisce – per citare un tema attualissimo – l’accesso diretto ai fondi del PNRR, aperto invece ai soggetti pubblici. E’ essenziale che la futura riforma metta la Rai in condizioni di agire con vera logica di impresa. Consentendo a chi è chiamata a governarla libertà di scelta – e conseguenti responsabilità”. In un certo senso la Soldi ha ragione: la natura ibrida dell’Azienda non la favorisce ma non si capisce perché, tra le due nature, debba avvertirsi prevalente quella privata a scapito di quella pubblica. In un non lontano passato abbiamo già ascoltato pensieri simili che somigliano tanto alla famosa teoria dei “lacci e laccioli” ovvero a quella libertà d’impresa che piace tanto a tanti imprenditori che vedono sempre con grande fastidio l’ingerenza dell’interesse pubblico su quello privato.
Se non che, dopo di lei interviene Fuortes ed esprime la teoria del “dateci più soldi di canone e vi faremo vedere le stelle” e, insieme alla Soldi chiedono di estendere il loro mandato a 5 anni. Ma l'AD dice solo “dateci più soldi di canone” perché le stelle poi le vediamo da soli. Ora si apre lo scenario più interessante che si riferisce non solo al canone ma anche alla pubblicità allorquando ieri Fuortes ha detto: “La pubblicità è la seconda fonte di finanziamento per la nostra azienda. Nel periodo 2008-2020, il mercato pubblicitario tradizionale complessivo ha subito, principalmente a causa della grande crisi post 2008, un sostanziale dimezzamento, da 9,8 miliardi a 5 miliardi; parallelamente, a partire dal 2013, è più che raddoppiata la componente social e motori di ricerca, passata da 1,3 miliardi a 2,8 miliardi. Per Rai, questo si è tradotto in una contrazione dei ricavi pubblicitari per oltre 600 milioni. Da poco meno di 1,2 miliardi a quasi 600 milioni. Queste sono le dinamiche del recente passato, senza dimenticare che dal 1° gennaio 2022 sono entrate in vigore le nuove disposizioni in tema di limiti di affollamento pubblicitario, le quali, per la sola concessionaria pubblica, segnano una importante penalizzazione, con un successivo inasprimento a partire dal 1° gennaio 2023” ed ha aggiunto, rispondendo a domande dei senatori “La pubblicità non sarà mai un driver del prodotto Rai”. Allora, anzitutto ha avuto buon gioco nel rovesciare il tavolo sul tema del DDl 208 e non lo ha fatto: perché? Chi è stato responsabile di questo mutamento a tutto danno dell’Azienda se non questo Governo e i partiti che lo sorreggono? Poi, come si può affermare che la pubblicità “non è un driver” quando si riscuotono circa 600 mln che incidono non poco sul bilancio dell’Azienda. Cosa pensa Fuortes che a Sanremo si vendono solo canzonette, mostaccioli o poppi corni? Che lo Share, gli ascolti netti oppure che Auditel servono solo a fare contenti gli autori dei programmi, che Rai Pubblicità serve solo a fare beneficenza ai bambini orfanelli?
Dai che ci siamo, la battaglia sta per iniziare.
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