È una perfetta metafora per trattare sommariamente una coda degli interventi al Senato della Soldi e di Fuortes. Il tema è il canone, definito “incongruo, incerto, instabile e imprevedibile”. Già, è vero, hanno ragione i due amministratori. Si tratta di capire solo se è ben chiara la natura della “tassa più odiata dagli italiani” e perché è percepita come tale e in quale contesto politico si forma e si caratterizza questa sua essenza. Ieri lo abbiamo appena accennato: se avesse voluto, Fuortes aveva sul piattino d’argento la possibilità di ribaltare il tavolo e inchiodare i partiti alle loro responsabilità per almeno due validissimi aspetti.
Il primo si riferisce alla famosa questione del ritorno alla riscossione del canone nel vecchio modo (pagamento diretto all’Ufficio Postale), argomento del quale siamo stati i secondi ad occuparcene, dopo il Messaggero del 5 maggio. Necessario ricordare che al momento del suo insediamento, quasi a parlare per nome e per conto di Palazzo Chigi, l’AD ebbe a dire che “non è intenzione di questo Governo discutere di questo argomento” salvo poi riprendere l’argomento e porlo in termini preoccupati. Ne era stato avvisato già da subito della minaccia che, peraltro, colse impreparati molti dirigenti di Viale Mazzini, e che è stata quantificata in circa 100 mln di possibile ritorno all’evasione. In soldoni, per come si stanno mettendo le cose (vedi pure il dibattito di questi giorni sull’aumento delle bollette energetiche) niente di più probabile che l’indicazione di Bruxelles venga raccolta, forse non per quest’anno ma per il successivo e dunque si prospetta un assioma ineludibile: il canone ben che vada rimarrà lo stesso mentre la sua evasione aumenterà. Inoltre: cosa si sta facendo per affrontare il tema del “canone speciale” che portava nelle casse RAI oltre 80 mln e di cui nessuno parla della sua possibile riduzione visto che molte aziende (bar, ristoranti, hotel etc) potrebbero non essere più in grado di sostenere questo impegno a causa della crisi Covid? Dunque, perché Fuortes non ha chiesto un preciso impegno alla politica, al Governo in questa direzione? Ora, oggi, domani, non si tratta di chiedere soldi in più agli italiani ma almeno di difendere quelli attuali, seppure saccheggiati impropriamente da oneri illegittimi. Fuortes ha chiesto l’unica cosa sulla quale avrebbe trovato un muro di cemento armato: aumentare il canone, ben sapendo che lo avrebbero preso a sportellate che, puntualmente sono arrivate e seppure non sono state esplicitate, sono ben presenti nei pensieri di molti (PD compreso).
Secondo argomento: il famigerato DDl 208 approvato a novembre. Se ne discuteva da anni e da tempo era noto che un baricentro minaccioso per la RAI riguardava la raccolta pubblicitaria in revisione del SIC. Le bozze di emendamenti giravano da tempo e, al momento del suo insediamento a Viale Mazzini, era tutto già noto e scritto nero su bianco. Eppure, una coltre di silenzio granitica di calcestruzzo è calata e il provvedimento è stato varato dal Governo nell’indifferenza generale (ovvero della complicità). Fuortes era stato informato che per il 2022 si prevedevano perdite per circa 50 mln e 130 per l’anno successivo (vedi audizione in Vigilanza del 12 ottobre) e dunque la domanda è sempre la stessa: cosa ha fatto per fronteggiare/gestire questa emergenza? Anche qui avrebbe avuto gioco facile nel ribaltare il tavolo verso la politica: “Cari Signori … cosa volete fare di questa Azienda visto che, giustamente, rivendicate il ruolo di “editore”… che intenzioni avete, quale futuro state disegnando per il Servizio Pubblico? Ed io cosa sono venuto a fare? A tappare i buchi?” Non devono essere i Senatori Margiotta o Di Nicola a chiedere all’AD come immaginano la Rai senza canone ma lui a chiedere loro quale Servizio Pubblico hanno in mente e come si dovrà finanziarlo.
Ritorniamo ai barattoli napoletani: investire per qualcosa o investire per nulla? Il tema risorse canone nella sua complessità è pure molto semplice. Se l’Azienda è solida ed è capace di investire ed essere competitiva nel mercato potrà sopravvivere, se invece è destinata a galleggiare nella mediocrità del pareggio di bilancio è destinata a soccombere, pubblica o privata che sia (come forse ad alcuni tintilla nelle orecchie). Chissà chi ha suggerito il dogma al quale Fuortes si ispira. Le aziende nomali, pubbliche o private che siano, se non hanno fondi propri (e la Rai non ne ha) per crescere devono investire e per investire debbono poter indebitarsi. La RAI ha un solo e inderogabile dogma: obbedire alla Legge (Convenzione e Contratto di Servizio) e non è previsto in alcuna disposizione che debba fare utili o perseguire il pareggio di bilancio mentre, come ogni Spa, si possono tollerare esercizi in perdita in funzione degli investimenti per innovazioni organizzative, di prodotto e tecnologiche laddove si preveda il ritorno entro un determinato periodo.
Ora, chiudiamo con una notazione di un nostro autorevole lettore che ieri ci era sfuggita: in Gran Bretagna, sui iniziativa del Governo, si sta discutendo l’eliminazione del canone alla BBC. Corre il legittimo sospetto che sia in corso un grande disegno che vede i Servizi Pubblici europei destinati a ridimensionarsi e, in questo senso, la RAI sembra essere nel suo pieno corso. Altro che aumento del canone.
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Per la verità l'abolizione del canone inglese è l'idea di una sottosegretaria del governo di Boris Johnson, la quale ha parlato di forme diverse di finanziamento a partire dal 2027, e non mi pare che ci sia grande accordo sulla proposta.
RispondiEliminaJohnson da tempo ha in sofferenza l'autonomia della BBC e il rinnovato attacco al canone, seppure fatto da una sottosegretaria, è solo un ulteriore tassello del suo disegno
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