Ieri ci ha lasciato Franco Ferrarotti, il padre della sociologia
in Italia. Nei giorni scorsi abbiamo visto il film su Berlinguer, una pagina di
storia, del decennio tra i primi anni’70 e i primi anni ’80, che ha lasciato un segno
profondo nella storia politica, sociale e culturale del Paese, un momento dove
sembra avvenuta una radicale rottura delle matrici di continuità tra le generazioni.
Tutto questo ci induce ad una breve, sommaria, delicata quanto
complessa riflessione. Si dice spesso che la RAI di oggi è profondamente,
radicalmente, diversa da quella degli anni passati. È vero, è del tutto ragionevole
che sia così perché è cambiato tutto intorno ad essa. È cambiato il suo mercato
di riferimento, è cambiato il suo pubblico ed è cambiata la “politica” che gli
ruotava dentro ed intorno. È cambiato radicalmente il Paese di quel decennio
descritto nel film su Berlinguer che, non a caso, termina nei primi anni ’80 con
la sua scomparsa e l’inizio della nuova era visivamente rappresentata dai volti
della Thatcher e di Reagan.
Veniamo ai giorni nostri. Bloggorai è consapevole di
addentrarsi su una china che non gode di certezze granitiche ma solo di sommarie
impressioni, pur tuttavia non completamente infondate. Da tempo si assiste
all’esaurimento di una generazione manageriale che è stata, nel bene o anche nel
male, partecipe e artefice di una RAI ora in via di estinzione. È avvenuta
una mutazione genetica tra chi conosceva il mestiere del “servizio pubblico”,
tra chi l’ha ricevuto in eredità da chi ha vissuto gli anni d’oro del monopolio
e del primo duopolio, e chi invece lo gestisce per nome e per conto di altri
soggetti, vuoi che siano gli agenti, vuoi che siano le potenti case di
produzione, vuoi che siano i “politici di turno”. Sono usciti negli ultimi anni
e stanno per uscire coloro che sono entrati in Azienda intorno agli anni 80/90,
quelli che si sono confrontarti con il concorrente Mediaset e che hanno appena
cominciato a intuire il nuovo mondo della rete. La transizione da broadcast
e broadband non ha fatto in tempo ad essere metabolizzata nella loro cultura che
già era tempo della loro uscita verso la pensione.
Già, il tema è la cultura aziendale prevalente che oggi si avverte dentro e intorno al Servizio Pubblico. Il momento di forte rottura è avvenuto con il passaggio da un controllo/vigilanza parlamentare ad uno governativo avvenuto con la Legge 220 del 2015 dove la logica dell’uomo forte al comando, l’AD, sembra avere spinto molto verso un “atteggiamento” di molti dirigenti verso lo schieramento politico forse molto dipiù di quanto non avvenisse prima.
Certo,
non dimentichiamo lo storico corridoio del VII che ha conosciuto Bloggorai al
tempo della sua presenza dove da un lato c’era Pasquarelli di stretta fede democristiana,
e dall’altro Manca di assoluta osservanza socialista e però questa dialettica
spesso e volentieri altamente conflittuale produceva grandi risultati e la Rai era
sempre in testa sula concorrenza. Oggi invece si assiste a piccole guerre
tra bande interne il cui risultato generale è sotto gli occhi come basta veder
sui dati AgCom: si perdono telespettatori e si chiudono programmi come acqua
fresca.
Nei giorni scorsi vi abbiamo accennato alle vicende interne
a Rai Pubblicità e al Marketing Rai. Per molti aspetti è una storia che sintetizza
e rappresenta meglio di molte altre (e ce ne sono) la mutazione genetica/politica
avvenuta a Viale Mazzini negli ultimi anni. L’uscita di scena di Roberto
Nepote, ha lasciato aperta la porta di Viale Mazzini all’ingresso di un innesto
di una nuova direzione, Roberta Lucca, che sembra avere brutalmente cambiato le
carte in tavola sotto il segno di una stagione politica che guarda al “malloppo
politico” ovvero la sua presunta appartenenza in “quota ministro Giorgetti” lo stesso
che ha in mano le sorti del canone RAI. Una storia che merita di essere raccontata.
In soldoni, l’Azienda soffre di tante crisi (economica,
istituzionale, tecnologica) ma una sembra più evidente delle altre: una crisi
di cultura interna robusta, di idee, di progetti, di capacità creativa autonoma.
La RAI sembra soffrire, in fin dei conti, di una crisi
di identità che colpisce i tanti dirigenti che sono pronti ad uscire da Viale Mazzini
come ha colpito quelli che sono usciti recentemente, di una profonda e lacerante
crisi umana, di pensieri e di valori condivisi, di nostalgia di un passato
lontano e di sconforto per un futuro imminente che non promette nulla di buono.
La sensazione che molti raccontano è quella di una barca che lentamente e inesorabilmente
sta affondando. Quelli che rimangono, molti ma non tutti, sono plasticamente
descrivibili per come erano visibili ai recenti Stati generali: tutti accorsi
numerosi pronti a spellarsi le mani al termine del discorso dell’AD Rossi ed altrettanto
veloci a dileguarsi al suo seguito quando lo stesso (che non si è degnato poi di
seguire i lavori) ha lasciato la Sala. Scena imbarazzante.
bloggorai@gmail.com
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