giovedì 14 novembre 2024

RAI: il declino dell'Impero Mazziniano


Ieri ci ha lasciato Franco Ferrarotti, il padre della sociologia in Italia. Nei giorni scorsi abbiamo visto il film su Berlinguer, una pagina di storia, del decennio tra i primi anni’70 e i primi anni ’80, che ha lasciato un segno profondo nella storia politica, sociale e culturale del Paese, un momento dove sembra avvenuta una radicale rottura delle matrici di continuità tra le generazioni.

Tutto questo ci induce ad una breve, sommaria, delicata quanto complessa riflessione. Si dice spesso che la RAI di oggi è profondamente, radicalmente, diversa da quella degli anni passati. È vero, è del tutto ragionevole che sia così perché è cambiato tutto intorno ad essa. È cambiato il suo mercato di riferimento, è cambiato il suo pubblico ed è cambiata la “politica” che gli ruotava dentro ed intorno. È cambiato radicalmente il Paese di quel decennio descritto nel film su Berlinguer che, non a caso, termina nei primi anni ’80 con la sua scomparsa e l’inizio della nuova era visivamente rappresentata dai volti della Thatcher e di Reagan.

Veniamo ai giorni nostri. Bloggorai è consapevole di addentrarsi su una china che non gode di certezze granitiche ma solo di sommarie impressioni, pur tuttavia non completamente infondate. Da tempo si assiste all’esaurimento di una generazione manageriale che è stata, nel bene o anche nel male, partecipe e artefice di una RAI ora in via di estinzione. È avvenuta una mutazione genetica tra chi conosceva il mestiere del “servizio pubblico”, tra chi l’ha ricevuto in eredità da chi ha vissuto gli anni d’oro del monopolio e del primo duopolio, e chi invece lo gestisce per nome e per conto di altri soggetti, vuoi che siano gli agenti, vuoi che siano le potenti case di produzione, vuoi che siano i “politici di turno”. Sono usciti negli ultimi anni e stanno per uscire coloro che sono entrati in Azienda intorno agli anni 80/90, quelli che si sono confrontarti con il concorrente Mediaset e che hanno appena cominciato a intuire il nuovo mondo della rete. La transizione da broadcast e broadband non ha fatto in tempo ad essere metabolizzata nella loro cultura che già era tempo della loro uscita verso la pensione.

Già, il tema è la cultura aziendale prevalente che oggi si avverte dentro e intorno al Servizio Pubblico. Il momento di forte rottura è avvenuto con il passaggio da un controllo/vigilanza parlamentare ad uno governativo avvenuto con la Legge 220 del 2015 dove la logica dell’uomo forte al comando, l’AD, sembra avere spinto molto verso un “atteggiamento” di molti dirigenti verso lo schieramento politico forse molto dipiù di quanto non avvenisse prima. 

Certo, non dimentichiamo lo storico corridoio del VII che ha conosciuto Bloggorai al tempo della sua presenza dove da un lato c’era Pasquarelli di stretta fede democristiana, e dall’altro Manca di assoluta osservanza socialista e però questa dialettica spesso e volentieri altamente conflittuale produceva grandi risultati e la Rai era sempre in testa sula concorrenza. Oggi invece si assiste a piccole guerre tra bande interne il cui risultato generale è sotto gli occhi come basta veder sui dati AgCom: si perdono telespettatori e si chiudono programmi come acqua fresca.

Nei giorni scorsi vi abbiamo accennato alle vicende interne a Rai Pubblicità e al Marketing Rai. Per molti aspetti è una storia che sintetizza e rappresenta meglio di molte altre (e ce ne sono) la mutazione genetica/politica avvenuta a Viale Mazzini negli ultimi anni. L’uscita di scena di Roberto Nepote, ha lasciato aperta la porta di Viale Mazzini all’ingresso di un innesto di una nuova direzione, Roberta Lucca, che sembra avere brutalmente cambiato le carte in tavola sotto il segno di una stagione politica che guarda al “malloppo politico” ovvero la sua presunta appartenenza in “quota ministro Giorgetti” lo stesso che ha in mano le sorti del canone RAI. Una storia che merita di essere raccontata.

In soldoni, l’Azienda soffre di tante crisi (economica, istituzionale, tecnologica) ma una sembra più evidente delle altre: una crisi di cultura interna robusta, di idee, di progetti, di capacità creativa autonoma.  La RAI sembra soffrire, in fin dei conti, di una crisi di identità che colpisce i tanti dirigenti che sono pronti ad uscire da Viale Mazzini come ha colpito quelli che sono usciti recentemente, di una profonda e lacerante crisi umana, di pensieri e di valori condivisi, di nostalgia di un passato lontano e di sconforto per un futuro imminente che non promette nulla di buono. La sensazione che molti raccontano è quella di una barca che lentamente e inesorabilmente sta affondando. Quelli che rimangono, molti ma non tutti, sono plasticamente descrivibili per come erano visibili ai recenti Stati generali: tutti accorsi numerosi pronti a spellarsi le mani al termine del discorso dell’AD Rossi ed altrettanto veloci a dileguarsi al suo seguito quando lo stesso (che non si è degnato poi di seguire i lavori) ha lasciato la Sala. Scena imbarazzante.  

bloggorai@gmail.com  


 

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