domenica 16 maggio 2021

Vittime e carnefici nell'arena della Rai

 

Si avvertono forti rumori di fondo nel sottosuolo del Colosseo: vittime e carnefici insieme a musici e inservienti si preparano allo spettacolo. Qualcuno sopravvivrà, altri periranno mentre molti stanno a guardare.

Buon inizio di settimana, mettetevi comodi: il lunedì andiamo lunghi (per i Raiotici consigliamo di iniziare dal fondo di questo Post). Il clima politico non sembra volgere al meglio e ce n’è buon motivo. La forte tensione tra Salvini e Letta è spiegata e comprensibile. Sarebbe anomalo il contrario: cosa hanno in comune i due partiti? La loro presenza intorno al tavolo del governo Draghi era ed è giustificata, in parte, dalla necessità di affrontare con urgenza le due grandi emergenze del Paese: il Covid e il Recovery Plan. Oltre non si potrebbe e non si dovrebbe andare. Per semplificare: se Salvini sostiene che vedrebbe bene Draghi al Quirinale, al PD viceversa dovrebbe venire l’orticaria. Sulla riforma della giustizia difficile immaginare che ci possa essere un comun sentire tra i due soggetti. Tralasciamo il M5S perché in questo momento hanno ben altre difficoltà. Se la Lega presenterà una proposta di legge sulla riforma della Rai, dove ad esempio si abolisce la figura dell’AD sarà necessario essere attenti e prudenti prima di addentrarci su questo terreno. Pensare che sia sufficiente dire “riformare la Rai” per cavarsela con quatto soldi può appagare la vanagloria di alcuni quanto pure può apparire come una colossale bufala fuori tempo e fuori contesto.

Ci capita spesso e volentieri di leggere commenti di autorevoli ed esperti colleghi sempre molto attenti ai temi e problemi della Rai e del Servizio Pubblico. In questo momento poi, in vista del rinnovo del prossimo Cda, sono più o meno tutti particolarmente sensibili e con la tastiera bollente. Nei giorni scorsi abbiamo letto nell’ordine: Riccardo Luna su Repubblica con il titolo “La Tv che manca alla Rai”; Giovanni Valentini sul Fatto Quotidiano con il titolo “La Rai di Letta e la riforma del Gattopardo” e, infine, Paolo Festuccia su La stampa con il titolo “L’euroscivolone della Tv pubblica al capolinea”.

Ci fa solo che piacere sapere che sono molti coloro che si preoccupano, giustamente, sulle sorti della Rai e, più in generale, del Servizio Pubblico Radiotelevisivo alla vigilia di mutazioni normative, tecnologiche e di mercato tanto importanti. Rimaniamo alquanto stupiti però nell’osservare che, come si dice … “manca sempre un soldo per fare una lira”. Il ragionamento comune e sempre più diffuso e condiviso, vuole che sia giusto e giunto il momento di mettere mano e porre fine alla “dittatura” dell’ingerenza della politica su Viale Mazzini. Fin qui, tutti d’accordo, almeno formalmente. Se invece si tratta di capire bene in che termini, con quali tempi e in quale contesto questa riforma Rai possa o debba avvenire, non si legge una sola riga di proposta, di dibattito, di riflessione. Infatti non si legge una sola riga sul fatto che la Rai debba essere riformata non tanto e non solo in virtù dell’abolizione della tanto vituperata Legge 220 del 2015 quanto invece perché, semplicemente, si deve riformare un’Azienda che non regge più il confronto con quanto sta avvenendo intorno a lei. Non regge più anzitutto il confronto con quanto avviene in Europa, nel mondo, sul piano dei contenuti e dello sviluppo tecnologico. La Rai è ancorata ad un modello produttivo o organizzativo nato in epoca preistorica, quando la “politica” voleva avere una rete e una testata di riferimento: RaiUno alla DC, RaiDue al Psi e RaiTre al PCI. Parliamo di pleistocene. L’era moderna invece vede a RaiUno il PD alleato con M5S al Tg1; RaiDue e Tg2 ad una destra qualsiasi (scegliete voi tra Lega, FdI etc) e RaiTre al M5S alleato con il PD o che dir si voglia o viceversa.  

Morale della favola: è utile, fa comodo, riempire spazio e parlare di “riforma della Rai” senza l’obbligo di dover specificare il senso generale, la sua missione, la direzione e il contesto entro la quale si possa collocare. Un ragionamento simile è stato proposto dagli altri servizi pubblici europei già da alcuni anni. Per prima è stata la BBC nel 2018, alla vigilia del suo ultimo Piano industriale, quando ha cominciato ad interrogarsi sulla mutazione genetica in corso nel  suo pubblico e, in particolare, quello giovane, che stava migrando massicciamente verso altre emittenti/piattaforme e modalità di fruizione dei prodotti audiovisivi.  Da noi tutto questo è eresia. Non c’è anima pia che si voglia interrogare sul futuro della Rai in termini di quanto possa e debba produrre, di quanto costa per quanto rende, di quante persone ci lavorano, di quali tecnologie possa utilizzare e così via. Insomma, a farla breve, la sensazione forte che avvertiamo in questo momento è che si voglia, volenti o nolenti, mettere una pezza più piccola del buco che si vorrebbe tappare. Intendiamoci però: cercare di tenere lontano la Rai dai partiti è sempre e comunque un obiettivo meritevole di esser sostenuto. Ma, purtroppo, dobbiamo constatare che fintanto che gli artifici di questo cambiamento saranno per buona parte gli stessi che dovranno segare il ramo dove sono seduti la vediamo molto dura. Tanto per intenderci e riprendiamo quanto abbiamo scritto ieri: fintanto che leggiamo che il M5S vuole “far sentire la sua voce in capitolo” e che Tizio o Caia sono in “quota” al PD o nelle simpatie di una delle sue correnti, Franceschini o Orlando che siano, è lecito avere seri dubbi che si possa portare a casa un risultato apprezzabile. Eppoi: quale risultato? Come noto, le proposte di riforma della Rai sono tante e diverse tra loro, alcune anche in modo rilevante. Ad esempio, tra quella M5S (Fico) e quella PD ce ne corrono tante non di poco conto e ancora di più ce ne potranno essere con quelle di FdI e Lega.

Tanto per rimanere in argomento di riforme strutturali e di sistema, ci domandiamo e chiediamo: ma a Viale Mazzini c’è qualcuno che legge attentamente  i giornali e individua i problemi? Ci riferiamo alla vicenda sollevata da Carlo Tecce su L’Espresso a proposito di AgCom e al via libera per la nascita di un nuovo canale generalista, il n.20, posseduto da Mediaset. Più cerchiamo di sapere e approfondire e più ci stiamo convincendo che si tratta proprio di una operazione che non avvantaggia certo la Rai, anzi!!! Un nuovo canale con le caratteristiche di “generalista” non sembra proprio esser di grande giovamento e supporto. Basta pensare che potrebbe sottrarre ulteriori risorse, già scarse, dalla torta della pubblicità. E diciamo poco. Però, di tutto questo, per quanto riusciamo a capire e sapere, a Viale Mazzini, almeno fino a questa mattina, cascano dal pero, per non dire degli altri giornali che non si sono nemmeno accorti del problema, quanto invece sono sempre molto sensibili al totonomine Rai ed a supportare alcuni nomi piuttosto che altri.

Chiudiamo: siamo in attesa di avere notizie dalla Lega e da Fratelli d’Italia sulle loro proposte di Legge. Vi terremo informati.

bloggorai@gmail.com

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