giovedì 12 settembre 2024

RAI: una lucina nella notte buia delle idee

Foto di Wälz da Pixabay

«Quest'ombra, pur non essendo verità, deriva tuttavia dalla verità e conduce alla verità; di conseguenza, non devi credere che in essa sia insito l'errore, ma che vi sia il nascondiglio del vero.» (De umbris Idearum, G. Bruno, XIV m.)

Ci dovremmo essere, la luce è dietro l’angolo. Il prossimo 26 settembre Camera e Senato dovrebbero votare i quattro componenti il nuovo Cda di Viale Mazzini. Potrebbe essere il momento della verità. Tutto al condizionale ovviamente perché,  ad oggi, non ci sono tracce di accordi, ne interni alla maggioranza, ne tra questa e l’opposizione e, forse, nemmeno interni alla stessa opposizione. Nella maggioranza la contesa interna alle tre anime è feroce e nessuno sembra mollare un passo (vedi ieri articolo su Il Foglio). Dalla parte opposta pure la situazione appare leggermente complessa.

La recente sortita del “campo largo” su “prima le riforme e poi le nomine” infatti non ha chiarito per nulla le idee, anzi, le ha viepiù confuse. Come è possibile che pochi giorni prima Conte possa dire alla maggioranza “proponete un nome autorevole e poi le valutiamo” e pochi giorni dopo invece ribadire il concetto di cui sopra di segno opposto? E se mai venisse proposto un nome "gradito " al PD ... un Di Bella di cui si è tanto palato o un Veltroni che abbiamo letto ieri? Qualcuno mescola nel torbido.

A farla breve: il 26 salvo ognuno si dovrebbe votare e le carte verranno messe in tavola. Oggi si legge che la Meloni avrebbe detto “basta rinvii”. Allora, questo punto, le possibilità sono due.

A. si vota e chi c’è cè

B. non si vota e si vedrà  

Ipotesi A: alla Camera la maggioranza dispone di 239 voti su 400 e al Senato di 118 su 200. La legge 220 del 2015 prevede che il voto dei parlamentari sia limitato ad un solo candidato (art.2.6). Ciò significa che, volendo, la maggioranza con i suoi numeri potrebbe eleggere un candidato alla Camera ed uno al Senato. Considerando che il rappresentante dei dipendenti è stato già eletto, sarebbe sufficiente che il Governo proponesse i due nomi di sua competenza e il consiglio avrebbe il numero legale per essere composto. Poi si aprirebbe la partita della presidenza dove si richiede il passaggio in Vigilanza (voto segreto) con maggioranza qualificata (24 voti su 40) che il Governo non ha (ne ha solo 20, più 1) ma questa è una partita complementare e subordinata.

Se la Meloni volesse forzare la mano e volesse nominare il nuovo Cda, la possibilità c’è. Evidente che poi il “problema diventa politico”. Il Cda RAI sarebbe tutto nelle mani di Palazzo Chigi e il che “non è bello”. Se lo può permettere la Meloni? Apparentemente no: si troverebbe di fronte ad un fuoco di sbarramento difficile da sostenere. Sostanzialmente si: può sempre sostenere che non si può lasciare la Rai allo sbando e che la Legge attuale lo impone. Allora, la domanda collegata è: l’opposizione ha la forza (e la voglia) per fare l’Aventino e sentirsi accusare poi di voler affossare l’Azienda privandola del suo organo di governo proprio nel momento in cui è assolutamente necessario? E se mai fosse che il M5S (Conte) possa ricevere una “proposta” interessante su un nome “autorevole e di garanzia” che succede? Il PD rimane con il cerino in mano in attesa della riforma? Scenario complicato ma non impossibile.

Ipotesi B: tutto molto complesso, non si riesce a trovare una quadra da nessuna parte e quindi si rinvia. Governo e opposizione rimangono preda dei loro problemi e non ne cavano un ragno dal buco. La trattativa è complessa e richiede molto più tempo dei 14 giorni che rimangono. E poi, di li a poche settimane, c’è sempre l’udienza del TAR, il 23 ottobre, che incombe. L’esito del ricorso è assolutamente incerto ma non esclude che i giudici possano accettare le motivazioni dei ricorrenti e allora la faccenda si complicherebbe assai. A favore del rinvio poi gioca molto il fattore prudenza: non converrebbe a nessuno  forzare la mano, compreso allo stesso Governo. La Meloni, come pure i suoi alleati, sanno bene che su questa partita non si possono commettere errori, specie dopo la vicenda Sangiuliano: il palazzo di Viale Mazzini è troppo esposto sulla pubblica via. Idem per il “campo largo”: la strada intrapresa di attesa di una riforma improbabile significa intanto, semplicemente e banalmente, lasciare tutto a bocce ferme a tempo indeterminato, ovvero un Cda monco e indebolito con un componente che vale 3 voti. Il tutto, alla vigilia, ormai imminente, dell’avvio delle trattative per il rinnovo della Concessione previsto per il 2027. Il rischio di una scelta improvvida e gravida di conseguenze negative è molto alto.

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