Non sono pochi gli storici che ancora dibattono per determinare quali furono le cause della sconfitta di Napoleone a Waterloo. Da quella battaglia, quasi certamente, ne scaturirono le sorti della futura Europa e dunque il dibattito non è peregrino. Il confronto vede da una parte i “militaristi” cioè coloro che si attengono strettamente a criteri “tecnici” tipo il movimento della cavalleria o il posizionamento dell’artiglieria, come pure le modalità di schieramento delle truppe in linea o a quadrato. Poi ci sono gli “ambientalisti” cioè quelli che mettono in primo piano le condizioni del terreno (aveva piovuto molto) o il nutrimento dei cavalli. Ancora ci sono i “medici” cioè coloro che sostengono che le condizioni di salute del Generale Corso gli avevano tolto lucidità di analisi (le emorroidi e l’insonnia) come pure lo stato generale di salute delle truppe (a parte la Vecchia Guardia). Ma difficile trovare traccia di altri problemi, apparentemente insignificanti, che pure avevano afflitto le armate napoleoniche già dai tempi della campagna di Russia. Ce lo hanno ricordato recentemente due chimici americani: Penny Le Couteur e Jay Burreson. Secondo loro, non fu solo il Generale Inverno a sconfiggere Napoleone ma la “peste dello stagno”, materiale con il quale erano fatti i bottoni delle divise delle sue armate che si sgretolarono con le basse temperature e mettendo così in grave difficoltà i soldati impegnati al gelo delle steppa.
Perché questa premessa? Semplice: quando si parla di campi di Battaglia e di “Napoleone” (tra virgolette) vengono facili le similitudini. Oggi la mattinata è stata proficua: diversi scambi di idee, riflessioni, incontri, mail e messaggi.
Tutto ci induce a sintetizzare quali saranno, appunto i campi di battaglia dei prossimi giorni:
1.Le risorse. Purtroppo si tratta di una battaglia persa prima ancora di essere iniziata e Fuortes lo sa bene. Canone stabile per tre anni e nessun reintegro di quote indebitamente espropriate. Punto. Pubblicità. Il nefasto DDl 288 ha dato la mazzata: si prevedono minori introiti di diverse decine di milioni non solo in virtù delle nuove diposizioni sugli affollamenti ma per il semplice fatto che la platea tv diminuisce (la stessa Soldi lo ha ricordato recentemente). Meglio spostare truppe su altro terreno: dovrà fare tagli sui costi interni e non pochi.
2. L’informazione. Questo sarà il terreno sul quale si sentiranno i colpi di cannone più fragorosi. Sarà ora necessario capire se le palle rimbalzeranno sul terreno fangoso come a Waterloo oppure scompagineranno il nemico? Le scaramucce sono iniziate: il prossimo 16 dicembre ci dovrebbe essere il Cda Rai con le nomine di direttori del “uovo” modello organizzativo (non è un errore). Tanto per capirci: Uno Mattina sotto quale direttore verrà assegnato? La domanda non è bizantina: al Tg1 se verrà considerata come trasmissione di di informazione della testata (come in parte avviene) o della rete e, seppure fosse questa l’ipotesi prevalente, di cosa si tratterebbe? Di intrattenimento day time o approfondimento? Nel primo caso ci sarebbe Tizio, nel secondo Orfeo. Non sono differenze da poco.
Poi: come si concluderà la vicenda del taglio dell’edizione notturna della Tgr? Vincerà Fuortes con la sua dichiarazione in Vigilanza: si chiude il 9 gennaio oppure vince l’USIGRAI con la minaccia di andare in Tribunale? Voci da dentro suggeriscono che sia buona la seconda. Se così fosse, qualche problemino si pone…
3. La comunicazione. Nei giorni scorsi l’AD ha nominato Maurizio Caprara come suo “consulente” per la comunicazione. Quale è il “”valore aggiunto” o cosa può dire o fare di più di quanto già non possono fare in questo ambito i vari Pasciucco, Mazzà, Colantoni e Marroni? Parliamo del suo Capo Staff, del Direttore relazioni Istituzionali, del Direttore della Comunicazione e del Capo Ufficio Stampa. Questa mattina, a leggere le agenzie di stampa, qualcosa è successo: "Il progetto di Risorgimento digitale - ha detto ancora Caprara - è il segmento di una linea che la Rai segue e continuerà a seguire per aumentare le competenze digitali degli italiani". Che un "consulente", sia pure di lusso, possa dare "la linea" della Rai ancora ci mancava.
La battaglia su come l’Azienda può essere comunicata e quindi percepita è un nervo sensibile e lo steso Fuortes, già dal suo esordio, ne aveva consapevolezza quando sostenne che andava virato il modo in cui la Rai veniva raccontata. Per quanto finora avvenuto e per le cose che vi abbiamo scritto, questo mutamento di rotta non solo non sembra avvenuto ma da quel poco che siamo in grado di interpretare tende ad aggravarsi. Il titolo di Repubblica dell’intervista alla Maggioni fa pensare che non sia proprio bene azzeccato: “… niente voce ai No Vax”.
tatataratatata tata...squillano le trombe ...rullano i tamburi ...
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