Lo spunto, il pretesto, ha riguardato la nomina dell’ex direttore del Tg2 al ministero della cultura, il pastrocchio di Fiorello che da Rai Uno è stato spostato a Rai Due come se una rete equivalesse all’altra e, da ultimo, il flop annunciato della D’Amico sempre su Rai Due. Tutto ruota intorno alla seconda rete. Piccoli episodi ma che dicono tutto sull’Azienda in questo specifico momento storico. Sommariamente, cosa dicono? Semplice: questa Rai è figlia legittima di un Governo minore, quello del tanto osannato Draghi sulle cui ceneri nasce il successo della Destra destra. Qualche passo indietro: Super Mario si poggia su pilastri fragili come carta da zucchero: è anzitutto l’ennesimo governo tecnico, che non è stato eletto nemmeno da un’assemblea di condominio ed è sorretto da una maggioranza anomala e composita che verrà poi, in buona parte, sonoramente bastonata nelle urne. Draghi nasce con l’incarico di gestire l’emergenza Covid (per fortuna nella sua fase calante) e il PNRR e poi si ritrova tra capo e collo la guerra in Ucraina.
A questo Governo fragile e dalle scarse prospettive, e al Parlamento che lo sosteneva, nel giugno 2021, è toccato l’onore e l’onere di provvedere alla nomina dei vertici Rai. Forse perché preso alla sprovvista, forse magari a sua insaputa, appena insediato l’AD e chi lo ha consigliato all’interno dell’Azienda, prova ad inventarsi una clamorosa novità. Ad agosto dello scorso dal titolo del Messaggero si legge solennemente: “Rivoluzione in Rai, il piano di Fuortes: scompaiono le reti, restano le direzioni”. Nel giro di pochi giorni dal suo arrivo a Viale Mazzini, nemmeno il tempo di capire e sapere dove è capitato, L’AD scende di corsa negli scantinati Rai, gli indicano un vecchio frigorifero, e gli suggeriscono di tirare fuori gli scarti inapplicati e avanzati del vecchio Piano Industriale del suo predecessore Salini (che, a sua volta, lo ha riesumato da ragionamenti vecchi di oltre 20 anni). Tombola!
Dallo scorso dicembre scorso, pure a Palazzo Chigi si sono accorti del gioco della tre carte del Piano Industriale ripassato in padella e mugugnano: fiutata l’aria che sta per tirare, mollano la presa sull’Azienda e si disinteressano almeno del suo nodo più rilevante: il canone che dal 2023 si dovrà riscuotere in altro modo. Lasciano la braga ai nuovi che verranno e vedremo poi come. Lasciamo perdere il rinnovo del Contratto di Servizio e del conseguente nuovo piano industriale e non ne parliamo nemmeno delle sette (sette, di cui 2 - due – del PD) proposte di legge per la riforma della governance ora decadute. L’Azienda entra in fibrillazione: si aboliscono le reti e subentrano i “generi” dove tutto e il suo contrario si reggono in un equilibrio da Mission Impossible. Cosa è intrattenimento? Cosa è informazione? Chi decide cosa e secondo quali linee strategiche editoriali? Arriviamo a giugno scorso: “Mario Orfeo alla direzione del Tg3, Antonio Di Bella al suo posto alla Direzione Approfondimento e Simona Sala al posto di quest'ultimo alla direzione Day Time” titola l’ANSA. Nota bene: Di Bella è prossimo alla pensione, un dettaglio insignificante. In questo quadro nasce la trasmissione della D’Amico, come pure quella di Damilano su Rai Tre. Tutto all’avventura, tutto senza un progetto, un piano, un ragionamento complessivo che possa interessare l’intero perimetro dell’offerta informativa del Servizio Pubblico.
Questo è quello che passa il Convento: ora toccherà al Governo meloni e al prode Salvini che ha ripetuto ancora una volta che intende abolire il canone; ora toccherà rinominare qualche direttore di Tg, Gr o Tgr tanto per rimescolare e “riequilibrare” a destra quello che è stato dato a sinistra; ora toccherà mettere pur mano al Contratto di Servizio; ora toccherà far fronte all’emorragia di telespettatori e così via trotterellando.
Per il momento e ancora per poco, ci toccherà attendere la nomina della nuova Vigilanza dopo di che inizieranno le danze. Ci divertiremo.
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