Ieri vi abbiamo proposto un aggiornamento sui grandi e imbarazzanti silenzi che avvolgono il passato, il presente e ancor più il futuro della Rai. Ne avevamo trascurato uno che merita uno spazio particolare e, forse, è proprio l’anello di congiunzione che lega tutti i precedenti:
Il sesto e forse più imbarazzante silenzio sulle vicende Rai riguarda un documento che non ha ricevuto l’attenzione che merita. Lo scorso febbraio è stato reso noto un testo che sintetizza il lavoro svolto in Commissione di Vigilanza Rai con il titolo: “Bozza del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui modelli di governance e il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche con riferimento al quadro europeo e agli scenari del mercato audiovisivo”. Si tratta di un testo di fondamentale importanza per diversi aspetti. Il primo riguarda le premesse: “Le ragioni che originariamente hanno legittimato il servizio pubblico - essenzialmente, la tutela del pluralismo in un ambito contraddistinto da scarsità di risorse tecniche e alti costi di produzione e trasmissione, unitamente a considerazioni sulla particolare "pervasività" del mezzo - oggi non ci sono più o sono molto attenuate”.
In buona pace: la Rai non è e non potrà più essere ciò che è stata in passato. Piaccia o meno ma è una realtà imprescindibile e pensare ad ogni forma di “tutela” della sua forma, del suo spirito originario induce a percorrere un sentiero senza prospettive. Ovvero, induce a indirizzare il Servizio Pubblico vero una forma di marginalità nel Paese e nel mercato sempre più accentuata. Se noi tutti non ci accordiamo almeno su questo punto, avremo grandi difficoltà a proseguire il ragionamento. In tal senso, la “politica” compie un passo ineccepibile: mettiamo un punto e andiamo a capo e proviamo ad abbozzare timidamente verso “quale capo” si intende andare. Si legge “…la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo rafforzi la credibilità e la riconoscibilità della propria offerta editoriale, puntando su contenuti che siano in grado di fornire allo spettatore modelli e visioni di alto livello qualitativo e a forte carattere innovativo”. Anche qui: ineccepibile. Credibilità, riconoscibilità e qualità della propria offerta editoriale: chi potrebbe obiettare qualcosa? Qui viene il bello: leggiamo ancora “Di contro, è stato sottolineato che, se la Rai insegue i target pubblicitari o si appiattisce sul modello delle televisioni commerciali, l'identità del servizio pubblico rischia di sbiadire mettendo seriamente in dubbio il senso della propria esistenza”. Tombola! La Rai senza pubblicità, visto che peraltro non ci si può far tanto di conto perché pure in calo progressivo e significativo (e come abbiamo pure scritto ieri, ancor più penalizzata dal DL 208). Sul sole 24 ore del 22 febbraio si legge appunto il titolo “La Rai senza pubblicità”. Parliamone. Potrebbe essere un argomento interessante che rimette in gioco non solo la natura ma la stessa missione del Servizio Pubblico. Si dovrà poi pur dire come si dovrà poi “adattare” l’Azienda con una riduzione del suo budget di circa 500 mln derivanti dalla raccolta pubblicitaria. Ciò che però colpisce nel rileggere il Documento della Vigilanza Rai (redatto a cura del Presidente Barachini e del deputato Romano del PD) è che il riferimento al canone punta solo al vincolo di un possibile recupero dell’extragettito che si potrà ottenere però con la garanzia delle sue finalità di utilizzo: “ti restituisco il maltolto però tu Rai mi specifichi esattamente come spenderai questi soldi”. Che simpatia! Nulla, ovviamene, si accenna alla possibilità che il canone possa essere ridefinito o anche solo “minacciato” da una massiccia evasione che potrebbe tornare di moda quando la sua riscossione, il prossimo anno, verrà tolta dalla bolletta elettrica. Un attento lettore ci ha ricordato che non sembra poi tanto vero che “ce lo ha chiesto l’Europa” quanto più, aggiungiamo noi, lo hanno chiesto e ottenuto forti e potenti lobby alle quali non si è voluto/potuto resistere. Altro discorso difficile da affrontare:
La lettura del documento è assai suggestiva (vedi la stangata su Rai Play che “ … non appare essere ancora in grado di rispondere alla sfida di dotare l'Azienda di un servizio autenticamente competitivo nel confronto con le nuove piattaforme commerciali OTT e di valorizzazione i contenuti audiovisivi realizzati da e per il servizio pubblico”. A rileggere il testo della Vigilanza però, ancora una volta, si ha l’impressione che ci sia qualcosa “fuori sync”: da un lato le immagini e i tempi del mercato e dall’altro il progetto di un Servizio Pubblico ancora balbettante. Da un lato la “politica” e dall’altro l’Azienda.
Conclusione e sintesi dei 6 misteri (e mezzo): ci viene in aiuto un altro attento lettore. La Rai sembra destinata ad un suo triste destino, solitario y final. Si dovrà tagliare da sola (massicci incentivi? Una rete? Rai Way?). Avrà sempre un suo spazio importante ma sarà sempre più ai margini di altre dinamiche più ricche e profittevoli, sempre più “private” e sempre meno “pubbliche”. Somiglia molto a quegli intendimenti liberisti tanto cari al Presidente del Consiglio. La “politica” per parte sua non solo sembra “fuori Sync” ma anche in “stand by” in vista della rivoluzione epocale che avverrà con le elezioni del prossimo anno. Nel frattempo, il passaggio nodale sarà la prossima Legge di bilancio: almeno per quella data si potrà sapere se e come verrà riscosso il canone: ci sono in ballo tante, tante decine di milioni di Euro e che nessuno sa bene dove andare a trovare (e per fare cosa).
Il mezzo mistero (la trasmissione di Damilano su Rai Tre a settembre) più se ne parla e più appare sempre più come il gioco della tre carte: per alcuni carta vince ma per molti altri carta perde. Basta scegliere la carta giusta che, appunto, in vista della campagna elettorale che inizierà in autunno, potrà essere un carta buona da giocare per rosicchiare qualche mollica di consenso politico che per alcuni non sembra poi così tanto certo e scontato. Anzi !!!
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