È ormai noto e consolidato il
fatto che l’arena di competizione del Servizio Pubblico in Italia, come del
resto in Europa, sarà determinato tra le piattaforme di diffusione e le risorse
sulle quali contare (vedi il caso recente di Salto, la nuova piattaforma
pubblico/privata). In altre parole, tanto per tirarli direttamente in ballo, saranno i CTO e i CFO gli artefici delle grandi manovre. Nei giorni scorsi abbiamo sollevato la riflessione sui costi
crescenti delle connessioni in rete dovuti allo sviluppo del 4K (anzitutto giochi
on line ma anche serie e film per la fortuna di Disney, Amazon, Netflix e TIM) ed abbiamo riportato una notizia mai scritta
(dobbiamo anche sottolineare che non è stata mai confermata o verificata, si
tratta solo di un “racconto” fatto da alcuni testimoni e protagonisti, nulla di
scritto che possa comprovare) secondo la quale Mediaset avrebbe avanzato una
proposta di una rete IP dedicata ai broadcasters.
Tutto questo, con alcune
osservazioni proposte da nostri lettori, ci porta dritti dritti al cuore di un
macigno sulla strada della Rai e del suo Piano Industriale. Spesso abbiamo
scritto che si tratta di un piano che somiglia ad una vettura con le ruote
bucate: non può andare da nessuna parte perché la principale tra queste, la ruota
delle risorse economiche, non solo è bucata ma è consunta e probabilmente
irreparabile, a Roma si dice che è una “caciotta”. Tutto questo per noti
motivi: il canone non è una risorsa certa. Ogni Governo, e questo in
particolare fin che dura, ha minacciato di toglierlo oppure, ben che vada,
preleva indebitamente una parte di esso per destinarlo ad altri scopi
(incostituzionale). Alto motivo con solide basi è la dinamica dei flussi
pubblicitari, sempre più in riduzione e rivolti verso altri settori diversi
dalla tv digitale terrestre.
Allora, si da che da tempo alcuni sognano una specie
di RaiFlix che dovrebbe avere le sembianze di Rai Play e tutti sperano
fiduciosi l’arrivo del messianico Fiorello per lanciare la piattaforma
streaming di Viale Mazzini, ricca di contenuti originali. Bene. Poniamo la
solita domandina semplice semplice: come viene pagata? Con quali risorse? Fino
a prova contraria, il canone viene pagato dai cittadini solo per la
distribuzione via digitale terrestre e satellite e non si prevede che una parte
di esso possa sostenere finanziariamente la diffusione di programmi sul Web.
Ricordiamo una banalità: il canone è una tassa indisponibile per altri scopi e
deve essere utilizzato solo per quanto esplicitamente previsto dalla Legge. E allora? Chi paga
Fiorello? Qualche buontempone se la potrebbe cavare con la risposta più
semplice: la pubblicità. Ma non è proprio così e le note difficoltà a gestire
ed applicare le indicazioni legislative sulla contabilità separata che tante
volte ha sollevato i rilievi della Corte dei conti, sarebbero ancora più rilevanti
nel caso di Rai Play. Un nostro autorevole interlocutore ai piani alti di Viale
Mazzini si è spinto a dire: “RaiPlay è morta prima ancora di nascere e seppure
dovesse vedere la luce si porterebbe appresso un handicap incolmabile”. Il solito
pessimista inguaribile che rema contro corrente. Per precisione: Rai Play è
viva e lotta insieme a noi e ottiene pure un significativo interesse. Ma da
questo ad immaginarla come la via radiosa al futuro della Rai ce ne corre.
Al termine di questo pistolotto
estivo, rassicuriamo i nostri lettori: calma piatta. Sulla stampa di oggi nulla
di interessante (Paolo Conte, Bibbiano, Carmine Padula etc ).
Bruto sulla piana di Filippi “ah,
se solo sapessi la fine di questo giorno…” Per gli anticesariani si prevedono
giorni cupi, basta attendere il fresco di settembre.
bloggorai@gmail.com
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