domenica 21 aprile 2024

Il "Mondo a parte" della RAI tra rassegnazione e mutazione genetica

Foto di Engin Akyurt da Pixabay


Siamo appena reduci da un grande film, “Un mondo a parte” di Riccardo Milani che ci ha fornito una occasione di riflessione sulle vicende RAI di questi giorni che vi proponiamo. Ad un certo punto, la protagonista Virginia Raffaele dice: “Siamo rassegnati al peggio”. L’estensione logica di questo pensiero è “da alcuni anni siamo educati, sostenuti e abituati al peggio che sembra non avere fine ad anzi ci abitua ad un presente futuro sempre più minaccioso”. Semmai fosse un pensiero sostanziale, e lo riteniamo verosimile, ci siamo chiesti cosa è successo per rompere quel sottile equilibrio che per un certo tempo ha fatto ritenere questo Paese più o meno  saldamente e prevalentemente ancorato a principi e valori di democrazia, solidarietà e partecipazione civile.

Ci viene subito in mente il calo progressivo e inesorabile del numero delle persone che esercitano il diritto/dovere di voto. Ci viene subito in mente quel perfido e diffuso sentimento di egoismo e nazionalismo che pervade e si diffonde quando si tratta il tema dei migranti, delle persone che muoiono in mare. Ci viene in mente quell’ottuso e malvagio cinismo che ci fa assistere al massacro, allo sterminio di decine di migliaia di bambini, donne e anziani senza battere ciglio, senza provare orrore, dolore e sdegno.

Cosa è successo nella coscienza civile di questo Paese? È sempre stato così, è sempre stato un popolo opportunista e prezzolato, pronto a vendere l’anima al migliore offerente oppure ha nel suo animo profondo un solido e sano senso civile che giammai "crolla la cima per soffiar de’ venti"? Abbiamo forse fatto finta che non sia vero, che in fin dei conti la “maggioranza silenziosa” è sempre stata presente e intangibile intorno a noi con la quale, comunque, occorre fare  i conti a seconda delle opportunità, necessità e convenienze? Cosa è cambiato nel DNA, nel sentire comune, nella prevalente coscienza collettiva? Ci siamo chiesti, ci chiediamo ogni giorno, perché? Cosa ci ha indotto ad essere diversi da quello che siamo o che vorremmo essere o che siamo sempre stati nei bassifondi della nostra “morale”.

Una risposta possibile, una suggestione, ce la potrebbe aver fornito il film che vi abbiamo citato. La responsabilità potrebbe essere ricercata nel racconto, nella cosiddetta "narrazione", nella definizione delle agende, nell’imposizione di un ordine delle priorità arbitrario e rispondente ad interessi privati. Sono state le telecamere accese e i titoli che ci hanno guidato ed accompagnato nella nuova dimensione della percezione del presente, dell’ora e subito, del “anywhere, anytime and anyplace” che stravolge e ignora il passato, oscura il contesto e impedisce alla ragione a svolgere il suo compito???  

Ecco lo spiraglio dove si intravvede la RAI della cronaca attuale, la RAI degli ultimi anni che non è solo "TeleMeloni", ed ecco lo spunto che ci potrebbe aiutare a leggere le vicende di questi giorni. C’era una volta … quando si raccontava e si sosteneva a ragione che “la RAI ha accompagnato la crescita sociale e culturale del Paese”. C’era una volta … c’era una volta e basta e ora non c’è più. Quella RAI lì è finita da un pezzo, da quando è entrata nel “mercato”, da quando ha cominciato a fare i conti con la televisione commerciale, con i listini pubblicitari, con i “volti” dei personaggi, con “l’infotainment”, con le “piattaforme”, con i “social”, con i “giovani” che non la vedono più e gli anziani che si appisolano sul divano con l’ennesima replica di Montalbano. Ognuno che in Italia  lascia questa terra è, è stato, un telespettatore RAI e ognuno che nasce  invece potrebbe non vederla mai.  

Non sappiamo, non siamo in grado di fissare una data specifica, un punto esatto in cui è avvenuto il cambiamento radicale che ha mutato la posizione, il ruolo e il peso che la “televisione”, segnatamente quella proposta dalla RAI, ha esercitato nel più vasto processo di mutamento  del Paese. Non è stata sola, certo: ha avuto buona compagnia dei diretti concorrenti che spesso ha rincorso e assimilato nel linguaggi e nei contenuti. Ad un certo punto è avvenuta una mutazione genetica, una inversione radicale, uno stravolgimento quasi epocale nella forma, nelle modalità di raccontare e nei contenuti che la televisione del Servizio Pubblico ha proposto. E' avvenuta una lenta e progressiva abdicazione da un modello educativo, formativo e informativo, alla BBC per intenderci, indirizzato alla crescita, allo sviluppo di conoscenze e competenze ad uno indefinito, paludoso e nebbioso che forse proprio in questa natura indeterminata definisce la propri identità. Come abbiamo titolato nei giorni scorsi e vale per la RAI come per il Paese: senza visione, senza missione. Giuseppe De Rita scrisse una metafora suggestiva: un Paese come una barca in alto mare con le vele senza vento, senza bussola e senza una rotta. Galleggia ma non sa dove andare. 

bloggorai@gmail.com   

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