Bloggorai si occupa di Rai e di televisione (poco di radio, purtroppo) e ci concentriamo su quanto avviene dentro e intorno ad essa. Sulla stampa quotidiana il Servizio Pubblico, con tutti i suoi problemi, è scomparso ed è naturale che oggi, giocoforza, ci dobbiamo occupare di Guerra e di Pace. Forse anche con un pizzico di retorica che non fa male a nessuno e forse può anche essere di aiuto. Prendetevela comoda, molto comoda: questo non è Twitter dove con una manciata di battute molti se la cavano a buon mercato a interpretare i dolori del mondo.
In un certo senso, ci siamo abituati a convivere con il racconto della Guerra, ci siamo quasi cresciuti con il suo ottuso rumore di fondo. Magari, nel nostro piccolo, ognuno ne vive una sua personale, quotidiana, con un vicino o con un parente. La nostra stessa esistenza, sempre in un certo senso, implica capacità di “combattere” i dolori e i piccoli orrori quotidiani ai quali sopravvivere. Del resto, nella nostra ancestrale e primordiale cultura e natura ci sono Caino e Abele che iniziano subito a fare la guerra tra loro per ottenere il favore del Signore: “Una volta Caino portò i frutti della terra come presente al Signore. Abele portò anch’esso dei primogeniti del suo gregge e delle loro parti più grasse. Il Signore gradì Abele e il suo presente mentre non gradì Caino e il suo presente. Ciò rincrebbe molto a Caino che rimase abbattuto … mentre si trovavano in campagna, Caino si levò contro suo fratello Abele e lo uccise”. Cosa altro aggiungere. Non è che da allora in poi le cose siano andate molto meglio. Dunque, è lecito che la guerra possa generare stupore? Forse anche no. Domanda forse banale e retorica: altrimenti perché si costruiscono armi sempre più sofisticate e letali invece che sfamare i popoli del mondo?
Per introdurre l’argomento Guerra in televisione, leggiamo questa mattina un interessante articolo su La Stampa, a firma di Paolo di Paolo, con il titolo “Indifferenza e fastidio sul nucleare. Che fatica capire questa minaccia” e si legge una citazione di Alberto Moravia sul tema: “Quando parlo della minaccia atomica con uomini di cultura e politici mi accorgo quasi sempre che mi ascoltano con rispetto ma spesso con indifferenza e, in fondo, visibile fastidio”.
Ecco, questo il senso esatto del racconto della Guerra in televisione in questi giorni che va oltre le immagini, le suggestioni e le emozioni che vengono sollecitate e coltivate (la tragedia, il dolore, la commozione, il lutto). Bambini sofferenti, madri in lacrime e anziani maltrattati offendono e attaccano più il sentimento che la ragione ed è proprio in questi due estremi mentali, sociali e culturali oltre che politici, che le telecamere indugiano e si soffermano. Le emozioni sono più fragili e delicate rispetto ai ragionamenti che implicano fatica ed impegno. La telecamera è cinica e spietata e non richiede sforzo per chi è dall'altra parte dell'obiettivo: colpisce e affonda ogni pensiero. Le immagini che ci propongono non ci danno modo di capire, di sapere, di ragionare, di riflettere: c’è il dolore del presente e basta mentre per le minacce del futuro, di domani, ci sarà tempo per altri servizi o documentari.
Premessa: il nostro panorama televisivo si limita alla Rai,
La 7, poca Mediaset e pressoché nulla di RaiNews24 (normalemente, raccoglie un pubblico da prefisso telefonico) e ieri pomeriggio abbiamo
fatto zapping con particolare attenzione. Prima ancora, la lettura dei giornali del mattino
non ci aveva per nulla tranquillizzato e poi la notizia del bombardamento della base Nato in Ucraina (non sapevo che ce ne fosse
una e mi sono chiesto perché addestratori “atlantici” erano lì a fare cosa
visto che l’Alleanza non dovrebbe prevedere attività di questo genere …o no?) ha sollevato attenzione e mi sono chiesto cosa potesse significare questo fatto in termini di minaccia “ai confini dell’Europa” come dal Tg ci è stato detto e
ripetuto più volte nel corso della giornata. Ma nessuno dei tanti corrispondenti
o esperti in studio ci ha poi detto in cosa poteva consistere concretamente la “minaccia”.
La risposta è unica e chiara, tutti la conoscono e pochi hanno il coraggio e la
voglia di dirlo molto chiaramente: non è
solo Terza Guerra Mondiale, ma più semplicemente è Guerra Atomica, cioè, in
pochi istanti decine di milioni di persone che evaporano, si dissolvono nel
vento come polvere. Questo concetto, questa immagine, la Televisione fatica a mandarla
in onda, la visualizzazione di questo pensiero non si riesce a verbalizzare, a
tradurlo in parole semplici e concetti comprensibili a tutti. Si diventa afoni
solo a pronunciarla ma la domanda è molto semplice: fino a che punto la nostra intera civiltà, le nostre stesse vite,
possono essere messe anche solo al rischio potenziale di una totale distruzione
per chi e per cosa? In cosa consiste il gioco di guerra? Chi minaccia di premere
per primo il pulsante atomico?
Al termine della giornata, abbiamo avuto una percezione di come la televisione, in modo diverso e articolato almeno tra Rai e La7, ci raccontano la Guerra in corso. Il concetto che vi proponiamo è “racconto differenziato" nel tempo e nello spazio. C’è la narrazione differenziata della guerra del Tg1 e quella del Tg di La7. C’è la narrazione di guerra differenziata di chi invita in trasmissione solo chi esprime la stessa opinione del conduttore e chi invita anche chi esprime opinioni diverse e contrarie. Abbiamo ancora negli occhi l’impressione quasi infastidita della nota conduttrice televisiva quando Edith Bruck (che di immagini di orrore ne sa qualcosa più di noi) ha sostenuto che l’invio di armi in Ucraina è un grande errore. C’è la narrazione di guerra televisiva di chi si prende lunghe “pause guerra” sui tre canali generalisti (RAI) e c’è la narrazione di guerra di chi va in onda a (quasi) tutte le ore (La 7).
C’è la narrazione di guerra differenziata di chi ha la memoria breve (a corto raggio, un paio di mesi al massimo) e di chi risale alle origini dell’umanità (magari si ricorda pure delle tante vittime innocenti di Bagdad e di Kabul). C’è la narrazione di guerra chi propone immagini di carri armati (più spesso russi) e quella di chi propone immagini di eroici civili che preparano bottiglie molotov con le quali fermarli. C’è la narrazione di guerra differenziata di chi vuole imporre sanzioni e c’è la narrazione di guerra di chi dovrà pagarle e subirle (noi). C’è la narrazione di guerra di chi vorrebbe fermare Putin con le margherite e chi vorrebbe invece fermarlo rischiando la guerra atomica (ovviamente solo nel nostro continente, perché è ragionevole dubitare che il fungo di morte e distruzione possa coinvolgere i fidi alleati australiani o canadesi). C’è la narrazione di guerra di chi pone dubbi e chiede verifiche di tutte le notizie (tutte) e c’è la narrazione di guerra di chi invece ha (da sempre) le idee chiarissime irrobustite da granitiche certezze e conosce da subito, ovvero dal giorno prima, tramite Twitter, le risposte ai grandi problemi del mondo nonché ai piccoli dettagli su come sono fatte le armi moderne.
C’è la narrazione di guerra del PD che vuole inviare armi per cercare la Pace in opposizione alla Cgil e l’ANPI che la pensano in modo opposto e c’è la narrazione di guerra di Salvini che prende sportellate in faccia facendo finta di dimenticare che era grande amico di Putin. C’è la narrazione di guerra del capo della nostra diplomazia che definisce Putin “una bestia” e poi si scusa e c’è la narrazione di guerra di Draghi che non viene invitato nemmeno a prendere un caffè al tavolo di chi (Macron, Shultz, Erdogan, Bennet etc) decide il futuro dell’Europa (quale?). Per consolazione però oggi, a Roma avverrà l’incontro tra il consigliere per la sicurezza nazionale americano Sullivan e il suo collega cinese Yang Jiechi. La Televisione ci ha detto che si tratta di un “Grande successo della diplomazia nazionale”: bontà loro, se ai due emissari gli avanzano cinque minuti sarà possibile che possano incontrare Luigi Mattiolo, consigliere diplomatico di Draghi.
Andiamo avanti. C’è la narrazione differenziata di guerra di chi ieri mattina ha confuso i bolscevichi con l’esercito zarista (Odessa, 1905, quando Lenin era ancora un ragazzino di 25 anni) e di chi è convinta che ogni bomba sia “certamente una bomba a grappolo” perché “lo ha saputo da una persona che conosce lei”. C’è la narrazione di guerra di chi ritiene gli atleti disabili russi siamo tutti putiniani allo stesso modo di chi ritiene le opere d’arte o culturali russe siano da nascondere o occultare. C’è la narrazione di guerra differenziata di chi ritiene che i governi “amici ed alleati” polacchi e ungheresi (di estrema destra) siano diventati improvvisamente “buoni” e accoglienti verso i profughi ucraini e c’è la narrazione di guerra di chi ricorda che ci sono i profughi “neri” quelli dei respinti in mare che molti “alleati” se ne guardano bene dall’accogliere, convinti che tanto se affogano o meno nel Mediterraneo non gliene importa un fico secco quasi a nessuno.
La televisione potrà essere ancora “differenziata” nel tempo e nello spazio ma, prima o poi, dovrà riunificare le immagini che propone in una sola parola: Pace o Guerra.
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