Quindi, non solo "se" dire qualcosa ma anche "quando" e "cosa" dire.
Con ordine: sappiamo, poco, ma sappiamo. Questo poco ci consente e, per certi aspetti, ci impone di parlare. La Rai non produce bulloni o ferri da stiro. Ciò di cui sappiamo e ciò di cui vogliamo e dobbiamo parlare è un atto, un documento, che si riferisce ad un'Azienda di carattere pubblico che opera sul mercato. Si tratta di un dualismo ancora irrisolto che la rende un eccezione, che rende la sua natura ibrida quasi un unicum del suo genere, non foss'altro per le caratteristiche del prodotto che fornisce a quanti sono obbligati a pagare il canone. Il tema, dunque, è sostenere che si possa o si debba "parlare". Per amore delle citazioni e per rimanere in tema aggiungiamo dall'Amleto: "Ma si proceda subito al da farsi, mentre gli animi sono ancora scossi, così che altri intrighi ed altri errori non abbiano a recarci altre sventure".
Esattamente per questo è necessario parlare: cercare di arginare la possibilità che possa avvenire l'ennesima nefandezza ai danni del Servizio Pubblico, che lo si possa privare di uno strumento formidabile per le sue, forse poche, possibilità di sviluppo. I nemici che assediano Viale Mazzini sono forti, potenti, dotati di armi formidabili, mezzi devastanti e sarà sempre più difficile fronteggiarli son la sola forza della ragione e del diritto. Ciò di cui sappiamo su questo nuovo Piano industriale che si appresta a diventare la road map del futuro della Rai è poca cosa, debole, povero e privo di alcun senso strategico in grado di mirare non ai prossimi tre anni, ma almeno ai prossimi 10, periodo entro il quale potrebbe avvenire di tutto. A meno che non si voglia sostenere che ciò di cui sappiamo, abbiamo letto, è una fake news, un maldestro tentativo di depistaggio perché invece il vero Piano industriale che sarà presentato al MISE il prossimo 7 marzo sarà un capolavoro di ingegneria, un punto di svolta epocale da lasciare sbalorditi. In questo caso ci cospargeremo il capo di cenere. Intanto, ci sia consentito qualche dubbio.
Sul primo punto, si rafforza l'orientamento di dire pubblicamente quanto sappiamo e riteniamo utile far sapere per cercare di far valere quel poco che i pochi che in questo momento che hanno a cuore le sorti del Servizio pubblico possono dire.
Sul quando, dovrebbe essere certamente prima del 7 marzo. Dopo, sarebbe come mettere una pezza più piccola del buco. Su "cosa" dire invece il dibattito è aperto. Sono interessate a questo dibattito anche i sindacati, associazioni, gruppi di studio. Nei prossimi giorni si potrà fare un passo avanti.
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