La storia recente della Rai, in perfetta sintonia con quella
del Paese, è costellata di pagine “nere” o, meglio che vada, opache. Si dice spesso che "la Rai è lo specchio del Paese" e forse, oggi più che mai, è vero. Ci sono tante "pagine nere" di ogni genere e riguardano la gestione economica ovvero le risorse di cui
dispone, lo sviluppo tecnologico, l’offerta editoriale e, infine, gli assetti
istituzionali.
La prima “pagina nera” o
meglio, lo schermo nero, è tornata in evidenza proprio ieri sera con la
proiezione su La7 del docu-film Magma- Il delitto perfetto relativo all’omicidio
di Piersanti Mattarella avvenuto il 6 gennaio 1980. È bene ricordare il tema
e perché si tratta di una “pagina nera” della storia Rai. Perché Mattarella è
stato ucciso e da chi? Rispondere al perché porta dritto ai colpevoli, ai mandanti
e agli esecutori materiali. Da allora le “piste” si sono contrapposte: da un
lato una forte spinta a sostenere il solo “delitto di mafia” e dall’altro una
forte spinta al “delitto politico” e segnatamente di destra in collaborazione
con apparati dello Stato deviati e/o collusi. Ad un certo punto delle indagini,
1988, in Commissione Antimafia, il Giudice Giovanni Falcone collega
l’assassinio di Mattarella con l’eversione nera. Anche recentemente, abbiamo
letto sul Fatto.it che la presidente dell’attuale Commissione Antimafia, Chiara
Colosimo, si è espressa in termini di “ …alleanza del male” ha condizionato
tutte le stragi italiane, che ha avuto un epicentro fondamentale in Sicilia,
che la vedova Mattarella nel riconoscere Fioravanti come esecutore materiale
del delitto deve essere presa sul serio”. A farla breve: la Rai che pure
avrebbe potuto/dovuto trasmettere Magma, come peraltro era previsto, non lo ha
fatto. Perché? Semplicemente perché “rinfrescare” la pista dell’eversione
nera, dei neofascisti collusi con la mafia e apparati deviati, è fastidioso e
sgradito a tanta “destra” attuale.
Allo stesso modo, sembra essere
molto fastidioso e sgradito mandare in onda il film Premio Oscar No other Land sulla tragedia del popolo palestinese. Era previsto prima il 7 ottobre,
lo stesso giorno in cui la Meloni è andata in onda due volte da Vespa. Poi sembrava
che dovesse essere trasmesso il 21 e non è avvenuto. Abbiamo letto di una
“telefonata politica” arrivata in Via Asiago. Fatto sta che, al momento, non
è ancora possibile sapere con certezza se e quando potrà essere trasmesso: “faranno
sapere” come usano ripetere quando qualche anima gentile gli pone la domanda.
Un altro bel capitolo ricco di “pagine
nere” si riferisce alla gestione economia e finanziaria del Servizio Pubblico. La
Rai ha poche risorse, sono incerte e quelle che ci sono vengono gestite male.
La Corte dei Conti (relazione luglio 2025) lo scrive ogni anno “… ribadisce
la necessità che l’Azienda realizzi ogni misura organizzativa, di processo e
gestionale idonea ad eliminare inefficienze e diseconomie”. Notizia fresca
di stamattina: il Fatto riporta il compenso di circa 730 mila euro l’anno per
Maria Latella per la sua trasmissione che invece incassa ascolti introno al 2% di
share. Quali inefficienze e quali diseconomie siano state sanate non dato
sapere. Sappiamo invece che i conti non tornano. Come abbiamo scritto nei
giorni scorsi riprendendo un articolo del Fatto a firma Gianni Dragoni, il buco
della perdita netta del bilancio 2024 è di circa 47 mln. Nella recente
semestrale è stato detto che la capogruppo Rai sarebbe in utile ma non si
specifica se questo risultato è determinato dalla ripartizione dei profitti
riconosciuti a terzi (gli azionisti di Rai Way). Non è una osservazione di poco
conto. Sempre in ambito economico sono opache le pagine relative al sostegno
finanziario del Piano Industriale. Da rileggere attentamente la Nota
illustrativa del Piano (vedi
https://www.primaonline.it/wp-content/uploads/2024/01/RAI_nota.pdf ) e la
nota presentata in Vigilanza Rai laddove si fa riferimento alla “…
trasformazione in Digital Media Company. Tale trasformazione, che è il punto
centrale del Piano industriale, richiederà investimenti per circa 113 milioni
di euro in nuove tecnologie per il rinnovo dei modelli produttivi”. Ma il
documento più interessante (Piano Industriale 2024-26, inquadramento strategico
e Piano di sostenibilità) è quello presentato il 14 febbraio 2024 dove, a pag.
12, dove si legge che gli “interventi di Piano, cumulati 2024-26” prevedono
190 mln di “valorizzazione asset aziendali” e dove si prevede la “cessione di quote
di minoranza di Rai Way” che, come noto,
non è avvenuta e nessuno è in grado di sapere se e quanto potrà avvenire
(rinviato di altri sei mesi il MoU relativo alla trattativa con Ei Towers).
Quest’ultima nota ci porta dritti
al cuore di altre “pagine nere” scritte nel capitolo “tecnologia”. A che punto è la trasformazione della Rai in
Digital Media Company (attenzione: non viene mai specificato “di Servizio
Pubblico”)? Non sembra essere in nessun punto: dove era prima, pressoché li
è rimasta. Esempio: i Data Center. Bloggorai si avvale di autorevoli consulenti
e citiamo la sintesi di quanto ci hanno riferito: “I Data Center, ormai sono una
componente strategica essenziale per tutto il sistema di diffusione e Rai,
semplicemente, non ne ha abbastanza in termini di qualità e quantità. Senza Data
Center non si va da nessuna parte. Grosso modo, in sintesi, ne occorrono di due
tipi: un primo “tipo” si rivolge all’interno dell’Azienda, cioè un “luogo” dove
girano, si lavorano e si conservano i dati e i contenuti digitali, ovvero la “cassaforte
coni beni di famiglia” Rai. Il secondo “tipo” di Data Center è rivolto all’esterno,
al mercato, ai telespettatori ovvero la cosiddetta CDN (Content Delivery Network).
A suo tempo Bloggorai ha dedicato uno speciale a questo tema. Allora, lo stato dell’arte
fotografa che quelli del primo tipo in parte già ci sono, di modeste dimensioni
e già “datati”. Il secondo tipo invece è affidato in “noleggio” esterno (Akamay
ad un costo stimato di oltre 6 mln l’anno). I Data Center sono voraci di
tecnologia e di energia. Quindi il tema del make or buy è ancora irrisolto.
Un Big Data Center, come pure per la CDN, per un solo cliente non ha senso. Per
intenderci: la BBC ha una CDN propria e poi si appoggia per l'overflow a CDN di
terzi. La CDN come commodity ha il vantaggio dell'aggiornamento tecnologico
e dei costi a bit decrescenti (la CDN ha 3 elementi di costo: traffico,
elaborazione, canone) dove un elemento cala sempre e gli altri due crescono. 10
anni fa Mediaset aveva proposto una CDN comune per i broadcasters nazionali tramite
un loro consorzio, ma Rai ha mancato l'occasione”.
Conclusione. Se Rai e se Rai Way
proseguono a sostenere la strada delle sole antenne (il ferro vecchio) è
destinata all’estinzione. Mancano le risorse? È vero. Ma quelle che ci sono in parte
rimangono incerte se non minacciate di riduzione (canone) e in altra parte
gestite male. Inefficienze e sprechi, appunto, come scrive la Corte dei Conti.
In sintesi: il “dossier “Rai Way”
è una grande pagina nera che nessuno ha voglia di leggere e le sole righe che
sembrano interessare sono i lauti dividendi che la società distribuisce agli azionisti
grazie anche al vantaggioso canone che Rai paga ogni anno alla quotata per oltre
210 mln.
Andiamo avanti con altre “pagine
nere”.
Bloggorai@gmail.com














