Nei giorni scorsi la televisione ha riversato nelle case degli italiani immagini di centinaia di migliaia di persone che per quattro giorni consecutivi, con pochissimo preavviso, sono scese nelle piazze di tutta Italia in modo pacifico, forte e determinato per esprimere un profondo senso di solidarietà, democrazia e giustizia.
Non era quasi mai avvenuto in Italia un “fenomeno” del genere.
Per trovare qualcosa di simile bisogna tornare alle grandi manifestazioni dei metalmeccanici
del ’69 e del ’73 o alla manifestazione della CGIL di Cofferati del 2002 per la
difesa dell’Art.18 dello Statuto dei lavoratori quando scesero in piazza a Roma
oltre 3 milioni di persone.
Come la televisione ha rappresentato
e documentato questo “fenomeno” è una domanda rilevante e l’altra invece è come
questo fenomeno si traduce in termini politici.
Per quanto riguarda la prima domanda,
per cercare una risposta occorre un lavoro notevole che Bloggorai non è in grado
di fare. Sarebbe necessario confrontare linguaggi, titoli, durata,
posizionamento delle notizie e modello “narrativo” dei vari Tg, “speciali” ed
altro tipo di trasmissione (vedi Vespa che proprio domani sera, 7 ottobre,
ospiterà due volte il capo del Governo Giorgia Meloni mentre è stato rinviato a data da
destinarsi la prevista trasmissione del film premio Oscar No Man’s Land).
Possiamo invece provare a
riflettere sulla seconda: cosa significano le piazze piene dei giorni scorsi
e quanta possibilità hanno di trasformarsi in consenso politico e, di conseguenza,
elettorale?
Allora e ancora oggi si
ripete e si pone il problema: quelle manifestazioni di quegli
anni passati si sono poi tradotte in voti? Quei voti hanno cambiato il senso,
la direzione politica del Paese? Come e perché siamo giunto ad un Governo di
destra? Come è stato possibile che siamo passati da una corposa adesione
elettorale di “sinistra” ad una di segno opposto e ci troviamo il Governo Meloni?
Dove e come abbiamo sbagliato? Riportando e aggiornando la domanda ai giorni
nostri: quello che è successo dopo l’assalto piratesco da parte di Israele alla
Flottilla e il vasto consenso a sostegno dei diritti del Popolo Palestinese emerso nelle piazze d’Italia, potrà avere forma e sostanza politica? La domanda
forse retorica e banale ma essenziale è antica: “piazze piene e urne vuote”
come ebbe a dire Pietro Nenni (PCI) nel lontano 1948.
Ieri il primo a riprendere ed
aggiornare la questione è stato Giuseppe De Rita con una intervista rilasciata
a La Stampa. Leggiamo alcuni stralci: “… ci sono milioni di persone in piazza
ma non si capisce perché. Dichiarano di manifestare per Gaza ma che cos'è Gaza?
È un sentimento collettivo? Un'indignazione collettiva? Una paura collettiva?
Un conflitto collettivo? … L'incertezza non è capire chi siano le persone scese
in piazza ma chi potrà gestire quest'onda di sentimenti per portarla non si sa
bene dove … Ogni generazione ha il suo destino e questo è ancora tutto da
scrivere”.
Se era possibile nei giorni scorsi intravvedere la
generazione che sostiene la causa palestinese, questa appare prevalentemente “giovane”
ovvero quella stessa che non guarda più la televisione e, men che meno, quella
della Rai, del Servizio Pubblico. Tutti lo sanno ma nessuno si chiede perché.
Oggi ha ripreso il tema Luciano Violante
con un articolo sul Corriere titolato con, appunto, la domanda centrale “Le urne
vuote e le piazze piene”. Sono da poco usciti i dati sulle elezioni in Calabria:
hanno votato poco più del 42% degli aventi diritto (nelle Marche ha votato il
50,1%) confermando la tendenza nazionale: gli italiani alle urne ci vanno
sempre meno. Leggiamo passaggi di Violante: “Le organizzazioni politiche
… non sono capaci di mettere in campo valori, futuro, speranza, cose per le
quali vale la pena mobilitarsi, di dedicare tempo, di impegnarsi e lottare. Se questo
accade, è normale rifiutarsi di scegliere” e conclude “Quando la
preoccupazione è solo quella di prendere un voto in più e non ci si preoccupa
di scuotere coscienze e di suscitare speranze l'onore spetta solo a chi ha
sentito la contorsione delle viscere”. E le persone che sono scese in
piazza, che hanno manifestato nei giorni scorsi hanno sentito la “contorsione
delle viscere”, hanno espresso più sentimento che ragione, meno calcolo politico
e più passione, ovvero tutto ciò che forse la “politica” fatica ad
intercettare, a tradurre in consenso e poi in voto e infine in governo. Non è sufficiente
sventolare una bandiera palestinese per conquistare un voto.
L’impressione (in quanto tale fallace e relativa) che Bloggorai ha
avuto in questi giorni dove ha partecipato a tutte le manifestazioni è che chi
ha aderito ed è sceso in piazza solidale con i palestinesi (la maggioranza
giovani, i più determinati) non si riconosce pienamente negli stessi partiti
che pure hanno aderito e sostenuto la Flottilla e i principi di solidarietà, giustizia
e democrazia. Abbiamo avvertito un certo senso, sordo e sottotraccia, di relativa
distanza dai partiti come a dire: “vi siete svegliati solo ora mentre sono anni,
decenni che i palestinesi sono ostaggio di Israele, vittime di soprusi e
ingiustizie e solo davanti a 70 mila morti civili solo a Gaza vi indignate”. Forse
questo pensiero è estremo ma riflette buona parte di una sensazione (pure questa
in quanto tale fallace e relativa) diffusa tra chi era in piazza nei giorni scorsi.
Lo stesso corpo elettorale nazionale
che pure nei sondaggi sembra essere dalla parte “giusta della storia” con il sostegno
alla Palestina non corrisponde ai numeri del governo politico del Paese: anche
a destra molti non sopportano più le immagini del genocidio in corso e dicono
basta.
La domanda che molti si ponevano
e che tutt’ora è doveroso porsi è se è stato fatto tutto ciò che si doveva e
si doveva fare per opporsi al genocidio che, ribadiamo, non è iniziato il 7
ottobre. L’uso di questo stesso termine, fino a non molto tempo addietro, anche
in una certa “sinistra” si faceva fatica a pronunciare.
Rimangono sempre molte domande ma poche le risposte.
bloggorai@gmail.com

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