Così addio speranza, e con la speranza,
paura addio,
Addio rimorso: ogni bene a me è perduto:
Male, sii tu il mio bene
John Milton, Il Paradiso perduto, Libro IV
Proseguiamo sul racconto del male in Tv. “La cronaca nera
imperversa, nei podcast e nelle trasmissioni pomeridiane della tv. Perché?
«Il crime funziona sempre, perché è una sorta di matrice narrativa, implicita
nella meccanica stessa degli eventi. Ogni caso giudiziario, e ogni sua
narrazione, si apre con un omicidio: e che cos’è l’omicidio se non quella
“rottura dell’equilibrio” che per lo strutturalismo e la critica formalista dà
il via all’azione, costituendo la prima di una serie di tappe obbligate che
rendono il racconto efficace?»”. Questo testo lo abbiamo ripreso da una lunga intervista
a Carlo Freccero comparsa su Vanity Fair e ripresa integralmente ieri da
Dagospia e, ovviamente, non pubblicata nella ristretta e rassegnata Rassegna
Stampa Rai relegata ai pochi ma buoni 250 lettori.
Vedi il testo integrale: https://www.dagospia.com/media-tv/carlo-freccero-in-cattedra-telemeloni-esiste-come-esistite-telerenzi-456718
suggeriamo di leggerlo integralmente.
Si può condividere o meno ma certamente Freccero è tra i
pochi “sopravvissuti” ad un’epoca Rai, un’epoca del Servizio Pubblico, ormai
passato alla storia e in via di estinzione. Quasi più nessuno oggi è in grado
di intervenire, di proporre riflessioni rilevanti e significative e meritevoli di
attenzione. Bene che vada, succede che si svolge qualche incontro tra quattro
gatti e due “esperti” che durano lo spazio di un breve mattino. Dopo di che, il
deserto cosparso di sale grosso.
A proposito di insegnamenti, può essere utile un piccolo ma rilevante passo
indietro, al 1996, quando Karl Popper scrive “Cattiva maestra televisione”
dove leggiamo “... la televisione, potenzialmente certo, così come è una
tremenda forza per il male potrebbe essere una tremenda forza per il bene.
Potrebbe, ma è assai improbabile che questo accada. La ragione è che il compito
di diventare una forza culturale per il bene è terribilmente difficile”.
La riflessione sul racconto del male in Tv e, segnatamente
dal ruolo svolto dalla Rai, riprende dagli anni ’80 caratterizzati fortemente
dall’avvento e successivo consolidamento della serialità di genere “crime”. Prima
però proponiamo di utilizzare una chiave di interpretazione con un testo di Mario
Morcellini del 2013: “Le storie tese. Una critica al racconto dei media
dell’Italia di oggi”. Nell’introduzione al tema della narrazione del crimine
mediatico leggiamo: “L’insostenibile leggerezza della modernità. Di fronte alla
crisi, e concretamente all’apparire dei singoli e continui strappi percettivi
all’ordine normale della vita, che mascherano altrettanto profondi strappi
della realtà, può sembrare che il sociologo abbia sempre la stessa spiegazione:
l’anomia. Altre volte, e in particolare quando il discorso non si pone al
livello degli studi e dell’opinione pubblica colta, l’adagio ricorrente
diventa: è colpa della crisi dei valori”... “La comunicazione contemporanea
lucra sulla crisi, che funziona quasi come un eccitante, un doping per i generi
e i linguaggi della comunicazione al potere. Lo è ancor più perché, come
vedremo, tutta la comunicazione sembra intessersi e quasi drogarsi della parola
e dei sinonimi della crisi, al punto che possiamo serenamente dire che il
cantico della crisi è il tessuto moderno dei media”… e più avanti “Nella
rappresentazione mediale è diventato plausibile – e a volte persino utile –
trovare giustificazioni al male, soprattutto se queste ultime chiamano in causa
spiegazioni individuali e di tipo psicologico, quasi a dire che è comunque
possibile individuare le più svariate motivazioni soggettive come cause “quasi
ammissibili” di un crimine. La follia, l’invidia, l’ira, l’interesse economico
o familistico vengono talvolta evocati dai media se non in termini di una piena
assoluzione morale quantomeno come motivi “umanamente” comprensibili
dell’azione criminale”… “La cronaca nera trionfa nei momenti di crisi sociale:
su questo l’abbondanza di prove storiche non lascia margini al dubbio. Non è un
prodotto dello sviluppo ma è un indicatore del sottosviluppo culturale, forse
anche della crisi delle relazioni interpersonali. Spesso, la ferocia dei media
è più terrificante nelle aree di deprivazione culturale” per concludere, infine
con “Questo progressivo spostamento del registro comunicativo sulla
spettacolarizzazione e sulla personalizzazione del crimine mette in luce un
problema che è mediale ma soprattutto sociale. Perché una narrazione del
cambiamento che avvenga soltanto attraverso la cornice della cronaca nera e
dell’alterità come rischio ci espone alla possibilità di contribuire al declino
della società ed all’incattivimento delle persone. Definire i media come una “fabbrica della
paura” può apparire come un approccio troppo positivistico, perché in una
società complessa come la nostra è difficile credere che possa esserci un solo
soggetto responsabile di una rappresentazione.
Ma è una formula che nel suo schematismo ha una sua plausibilità: nella
percezione dell’opinione pubblica appare infatti chiaro come i media sembrino
particolarmente responsabili di un innalzamento dei decibel sul crimine”.
Rientriamo nella storia. Lasciato alle spalle quello considerato
forse il mito fondativo della fine degli anni ‘70, Il tenente Colombo, andato
in onda prima su Rai Due e successivamente su Mediaset, inizia nel 1979 l’era dell’Ispettore
Derrick, una produzione tedesca di enorme successo. Contestualmente, nel 1984
inizia la serie iconica del genere italiano: La Piovra che raccoglie
subito un vastissimo consenso di pubblico con punte di oltre dieci milioni di
telespettatori a puntata. La serie si interrompe nel 2003 quando Silvio Berlusconi
dichiarò che “Se trovo chi ha fatto le serie de La Piovra e chi scrive libri
sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo, giuro che lo strozzo".
La “politica” prende forma e si intromette nella “narrazione” televisiva e il tema
“crimine” assume le sembianze che, come abbiamo accennato, diventa la “Fabbrica
della paura” come venne definita dal Censis nel 2008.
Segue …
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